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Tutti ricordano il principio commovente dell'Ode pariniana: Quando Orïon dal cielo Declinando imperversa, E pioggia e nevi e gelo Sopra la terra ottenebrata versa, Me, spinto nella iniqua Stagione, infermo il piede, Tra il fango e tra l'obliqua Furia de' carri la citt

Veduto da lungi, il cavallo disegna nel vuoto colla curva delle zampe balzanti un arco d'aereo ponte che si ripete sterminatamente per la campagna. Lo scalpito metallico de' ferri scande sul terreno un ritmo stringato e preciso come i trochei di Pindaro. Quel cavallo ha il volo e il metro dell'ode.

E qui il poeta finiva e la parola dolor con cui avea terminato tu la vedevi ripetuta ai quattro angoli dell'ode!... Sia stato un malfattore colui che vergò questi versi?... Se anche lo fu, è certo che fu più infelice di quello che fosse colpevole!

Il greco ed il romano, tutti intesi alla vita pubblica, non hanno tempo per gli affetti soavi. La donna che amano e cantano, non è mai la moglie, ma una facile bellezza, straniera alla famiglia, Lalage, Lesbia, Cinzia, e tutte l'altre regine dell'ode e della elegia, sono donne intorno alle quali si perde la umana dignit

Soccorriamo il povero, e l'uomo si mostri fido amante e indomabile amico. Il Giusti, nell'Elogio del Parini, scriveva: "La Lombardia perdè il suo poeta e non poteva cadere in mente ai cittadini, che lo piangevano, di consolarsene nel caro aspetto di un fanciullo di tredici anni ch'era allora in Milano e che di a poco fu quell'uomo che tutti sanno." Il Manzoni avrebbe pure potuto far propria la famosa strofa dell'Ode pariniana, La vita rustica: Me non nato a percotere Le dure illustri porte, Nudo accorr