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79 Avea Dudon quella ferrata mazza ch'in mille imprese gli diè eterno onore: con essa mostra ben ch'egli è di razza di quel Danese pien d'alto valore. La spada ch'apre ogni elmo, ogni corazza, di che non era al mondo la migliore, trasse Ruggiero, e fece paragone di sua virtude al paladin Dudone. Schermiasi, ovunque la mazza calasse, or ribattendo, or dandole la via.

Al rifiorir di queste Essicate memorie, io non so come, Sento che tutta l'anima s'inebria Di savia gioia e sembra che il ricordo, Ombra del ver, scenda del ver più bello. Io la serbo nel cor questa parola Ch'apre le fonti alla dolcezza e chiama Tutti gli erranti spiriti che vanno Per la luce e per l'ombra.

22 Ma poco ci giovò: che 'l nimico empio de l'umana natura, il qual del telo fu l'inventor, ch'ebbe da quel l'esempio, ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo; con quasi non minor di quello scempio che ci diè quando Eva ingannò col melo, lo fece ritrovar da un negromante, al tempo de' nostri avi, o poco inante.

13 Sotto quel sta, quasi fra due vallette, la bocca sparsa di natio cinabro; quivi due filze son di perle elette, che chiude ed apre un bello e dolce labro: quindi escon le cortesi parolette da render molle ogni cor rozzo e scabro; quivi si forma quel suave riso, ch'apre a sua posta in terra il paradiso.

So che beato estimasi tra i pochi Chi stringe nella man la chiave d'oro, Ch'apre gli scrigni del pensiero e svela Il tesor degli affetti e le riposte Gemme della sapienza.

È la notte di Maggio ch'apre l'anima e il cuore, Non v'ha dunque timore, non insidia nel prato?

Non sono Consorti mie le mobili Genti, cui la vital morte rinnova, Come opportuna piova, Ch'apre la terra, e svolge La ritrosa virtù del germe inerte? E tu, tu che le incerte Nubi diradi, ed ogni ben mi sveli, Santa Ragion, tu indarno Entro al petto de l'uom levi il tuo trono?

128 All'infernal caliginosa buca ch'apre la strada a chi abandona il lume, finì l'orribil suon l'inclito duca, e fe' raccorre al suo destrier le piume. Ma prima che più inanzi io lo conduca, per non mi dipartir dal mio costume, poi che da tutti i lati ho pieno il foglio, finire il canto, e riposar mi voglio.

Così dicendo, a l'odorato lembo De le vesti di lei dolce si appiglia; Ella pavida in atto, al vergin grembo Restringe i veli, e al suol figge le ciglia; E qual fussia gentil, che dopo il nembo Scote la pioggia, e al Sol più s'invermiglia, Stillante di pudor la faccia bella, Senza il fronte levar, così favella: Stranier, qual che tu sii, dolce e cortese, Benchè nuovo ed ardito, èmmi il tuo detto; Deh! chi mai la possente arte ti apprese Del suäve parlar, ch'apre ogni petto?