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Aggiornato: 2 giugno 2025
Un sorriso singolarmente dolce apparve su la bocca appassita di colui. Non avevo mai veduto sotto una fronte umana occhi tanto tristi. Addio, Giovanni. Coraggio! soggiunse mio fratello, con quella voce che pareva avere talvolta, come certi liquori, la potenza d'elevare il tono vitale. Noi, Tullio, possiamo riprendere la via della Badiola. È gi
La campana della Badiola diede il primo tocco dell'Angelus. Giuliana ritrasse la sua mano dalla mia; e si fece il segno della croce.
E Maria e Natalia si precipitarono nella camera, verso la madre, gridando di gioia; e, l'una dopo l'altra, le s'appesero al collo e le coprirono il viso di baci; e dalla madre passarono a me, e io le sollevai, l'una dopo l'altra, nelle mie braccia. Le due campane squillavano a furia; tutta la Badiola pareva invasa dal fremito del bronzo. Era il Sabato Santo, l'ora della Risurrezione.
Nel pomeriggio di quel medesimo sabato, ebbi un accesso di tristezza singolare. Era giunta la posta alla Badiola; e io e mio fratello, nella sala del bigliardo, davamo una scorsa ai giornali. Per caso mi venne sotto gli occhi il nome di Filippo Arborio, citato in una cronaca. Un turbamento subitaneo s'impadronì di me. Così un lieve urto solleva il fondiglio in un vaso chiarito.
Mi sembrò molto triste, d'una di quelle tristezze un po' molli che rivelano un cuore gonfio di pianto, un bisogno di lacrime. A che pensi? le chiesi. Mi ricordo del mio primo Natale alla Badiola. Te ne ricordi tu?
Disse mio fratello, sorridendo, quando fui da presso: Parlavamo di te. Giuliana crede che tu ti stancherai presto della Badiola.... E i nostri progetti, allora? No, Giuliana non sa io risposi, sforzandomi di riprendere la mia disinvoltura consueta. Ma tu vedrai. Sono, invece, così stanco di Roma.... e di tutto il resto! Guardavo Giuliana.
Ed uscì con quel suo passo alacre e franco, poiché lo sollecitava di continuo l'esortazione inscritta nel quadrante solare: Hora est benefaciendi. Erano le dieci quando io uscii. La gran luce di quel mattino d'aprile, che inondava la Badiola per le finestre e per i balconi spalancati, m'intimidiva. Come portare la maschera sotto quella luce?
Era di aprile. Eravamo in provincia, da alcuni giorni, io e Giuliana e le nostre due bambine Maria e Natalia, per le feste di Pasqua, in casa di mia madre, in una grande e vecchia casa di campagna, detta La Badiola. Correva il settimo anno dal matrimonio.
Tali timori a punto, comuni a mia madre e a mio fratello, facevano sì che nella casa la nuova concezione non fosse festeggiata come le altre e fossero evitati i soliti pronostici ed ogni discorso allusivo. Ed era fortuna. Ma giunse finalmente alla Badiola il dottor Vebesti.
Andò con le figlie e con mia madre alla Badiola. Le accompagnava mio fratello. Io rimasi a Roma. Da quel tempo incominciò per me un periodo tristissimo, oscurissimo, il cui ricordo ancora mi riempie di nausea e d'umiliazione.
Parola Del Giorno
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