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Araldi usciam dal tempio del ciel colla rugiada, colori urgendo e esempio di luce in sulla strada che Titania percorre. Il tempo alacre corre, seguendo i Precursori, fermo e senza timori. È la morte, è la fine! È il risveglio sublime!

In tanto pericolo per un assedio imponente, per quanto ancora assai largo, i Pistoiesi non si persero d’animo. Parve anzi raccogliessero tutte le forze per respingere le avverse con audaci sortite. Ma il dell’Uberti ordinò doversi stare per adesso sulle pure difese. Ciò nuoceva assai a quegli animi ardenti, che il poter loro misuravano sol dal coraggio. Crebbe poi a dismisura la irritazione dei cittadini quando il duca, per quattro araldi, dinanzi alle quattro porte della citt

Le promesse sono invenzioni di Pico, anche colla buona intenzione di tranquillare la famiglia? No; esse portano il bollo morale della questura: Lucchese confessò innanzi al Tribunale, che lesse la cartolina prima di spedirla. E Pico, contro i regolamenti, in prigione viene chiamato col falso nome di Araldi.

Vediamo un po' se i gentili siano più puliti. Chiamate Virgilio. Gli araldi gridano all'uscio: Vieni, Maron, poeta dei pagani, E insegna il catechismo ai cristiani. E Virgilio, coronato di cavoli, in figura giovanile, con bella toga ornata di ricami in carta gialla, avanza, e, facendo dignitoso saluto al duca di Svevia, sclama: Ecce polo dimissa solo.

E ciò detto, si va a riunire agli altri compagni. Gli araldi chiamano poscia Elisabetta. Questa, che era vecchia, sorda, esce fuori tutta frettolosa, vestita di bianco, e gonfia come in procinto di partorire, e voltasi ai coristi dimanda: Quid est rei, quid me mei? L'è una chiesa di casa del diavolo qui, signori miei! Non si può stare neppure comodamente a dire una litania!

Ma pur da gli atti a reputar costretto Ch'oltramondano il messaggier si manda, Benchè rigonfio d'alterezza il petto, I gran duci del campo a se dimanda. A pena han de gli araldi inteso il detto, Che corrono ad udir ciò, ch'ei comanda, E stan dimessi ad ascoltar sue voci; Ed ei le formava aspre, e feroci: XXXVII

Allora si presentano al duca Rodolfo due araldi, dei quali uno annunzia: Monsignore Goffredo di Buglione, oratore del re Enrico. L'altro: Monsignor Baccelardo, oratore di papa Gregorio. Rodolfo fa inchino al papa dei becchi ed alla corte di lui, e va a ricevere i nuovi suoi ospiti. PROMET. Io mi rifiuto: Dite loro in breve io non lo voglio.

Gli araldi conducono quindi Mosè brontolando dall'altra parte della fornace, poi tornano alla sacrestia e chiamano: Vieni avanti, Isaia, ma facciam patto Di parlar chiaro e di non dir bugie: Se profeta, da furbo, ti sei fatto, Noi non vogliamo udir castronerie; Chè ci han bastantemente trappolati, Con i tuoi logogrifi, e preti e frati. Isaia esce a sua volta.

Rambaldo di Verrùa, vestito anch’egli di ferro, appariva di fuori tutto rosso come un cardinale, o come un gambero cotto. Il suo elmo portava due magnifiche corna, o trombe di torneo, contrassegni allora di chi era stato riconosciuto nobile e blasonato due volte nei torneamenti, cioè pubblicato due volte a suon di tromba dagli araldi.

Al Teatro Francese, nella famosa scena del sotterraneo d'Aquisgrana, entrano due re, vestiti da re ed accompagnati da re, coi loro trombettieri, araldi, vessilliferi, paggi, cavalieri e soldati; una comitiva degna dell'annunzio che porta e dell'uomo che lo riceve. Del vestiario dei principali artisti si potrebbe parlare a lungo, senza lodarlo abbastanza.