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Gisella tremò, vedendolo comparire in salotto, e una fiamma le corse alle guance. Ma subito si ricompose, e gli espresse il suo desiderio, avendone quell'esito che fu dianzi accennato. D'altro non fu possibile parlare, essendo presente Albertina. Ed ora vi sentite meglio, non è vero? si restrinse a domandarle Maurizio. , molto meglio, rispose Gisella.

Rasciugò le sue buone lagrime, vedendo muoversi sua sorella Albertina. Essa lo vide, passando; ed egli si alzò per accompagnarsi a lei. Pregavi? gli chiese Albertina. , per tutti; rispose. Tranquillissimo, quella sera, quasi sereno, ragionò lungamente di cento cose con lei, evocando memorie infantili, facendo perfino castelli in aria per i giorni che non sarebbero venuti.

Maurizio entrò a sua volta nella camera, e si accostò al letto di Gisella. Non poteva più resistere al desiderio di vederla ancora. Il medico e Albertina stavano a' piedi del letto, preparando una pozione, ed egli fu solo un istante al capezzale. Gisella aveva gli occhi semichiusi; lo vide, lo riconobbe, e fece uno sforzo per proferire qualche parola.

Vedendo che consigli, ammonizioni o preghiere valevano, le venne in mente di ricorrere al professor Gianlucardi, al quale confidato che ebbe l'animo suo e sfogato le sue angustie, finì col dire: bisogna addirittura che lei, professore, faccia di tutto perchè la mia Albertina non vada quest'anno a villeggiare dalla baronessa... non c'è che lei che possa persuaderla... e forse lei ci riuscir

Era uno scandalo, via: il decoro della famiglia ne pativa. Mille volte aveva consigliato la sua Albertina a ricusare gl'inviti della baronessa; mille volte l'aveva ammonita di sfuggire quell'intrinsichezza che non le faceva onore e che le sarebbe dannosa, ma era stato come predicare nel deserto.

Buona e cara Albertina! Egli andava a farle compagnia nella triste casa; e qual compagnia! Lei, fastidita del mondo anche prima di conoscerlo, certamente per qualche intima ragione si era appartata a quel modo, rinunziando alle gioie della vita; se pure la vita ne ha. Anch'egli, vecchio scapolo, che aveva sognato d'impalmare la gloria, offeso un giorno nella sua dignit

Confessa bene? domandò egli di punto in bianco a sua sorella, quando furono a tavola. Come predica; rispose Albertina. È un dotto, ed è un santo, Maurizio non disse più altro. Quella sera gli mancò il coraggio di salire alla Balma. Sentiva bene che un gran rivale gli era stato suscitato; ma da chi? non forse da lui? e perchè darne colpa o merito ad altri?

In quella cappella, di patronato della famiglia, aveva la sua panca la contessa Albertina, che c'era infallantemente ogni giorno a pregare, un'ora nei giorni di lavoro, due ore nei giorni di festa, e più, all'occorrenza, secondo la durata degli uffizi divini. Quante preghiere! direte.

, per portare alla contessa un'ambasciata di mia sorella Albertina; rispose Maurizio, che sentiva il bisogno di preparare un buon pretesto. Ma ci ho tempo; soggiunse. Tanto, a quest'ora non avranno finito di far colazione. E come va la salute? Bene, signor Maurizio; grazie a voi, non abbiamo più tempo di star male. Non dite questo, Biancolina.

Vedi che cosa mi scrive il tuo generale. Così dicendo, porgeva ad Albertina la lettera che aveva ricevuta nella mattinata. È cortese; osservò ella, dopo aver letto. E gli sei proprio debitore di una visita. Io, anzi, te lo volevo dire fin da ier l'altro. Andiamo dunque, e perdiamo questa mezza giornata; conchiuse egli sospirando.