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Aggiornato: 4 maggio 2025


Abbiamo accennato di volo nel capitolo X alla catastrofe di casa Ajani, nella quale i Romani si batterono disperatamente contro i soldati del Papa: una donna generosa fu sgozzata co' suoi figli, e molti altri furono fucilati, dopo fatti prigionieri, dagli zuavi.

Nella casa dei signori Ajani, vasto lanificio in Trastevere, alcuni animosi andavano faticosamente raccogliendo armi e munizioni, nell'intento di adoperarle per un nuovo tentativo che si ordiva. In mezzo a questi preparativi, la polizia, avutone sentore, alle due antimeridiane del 25 si presentò con grande apparato di gendarmi e zuavi onde intimare la consegna delle armi e la resa.

Gli eroici difensori di Casa Ajani nel 1867 in Roma governando il Papa sotto la protezione dell'esercito imperiale francese ebbero concessi gli avvocati civili per la difesa; e pure la tirannide borbonica rispettò in Napoli e Sicilia questo sacrosanto diritto della difesa al 1821, al 1831, al 1850, al 1858, al 1860, nel processo di Nicolò Garzilli, in quello contro Poerio, Settembrini ecc., nell'altro delle tredici vittime, sempre!

Lo accettarono, ma per quattro ore vendettero cara la loro vita, e seminarono di corpi nemici la contrada. In alcune case vicine a quella Ajani il popolo tentava ogni mezzo onde portar aiuto ai difensori. In mancanza d'armi, rovesciava sul nemico quanto gli veniva alle mani: tegole, mattoni, masserizie. Alla fine il numero prevalse, e gli zuavi penetrarono nella casa.

I prodi difensori della casa Ajani, isolati, divisi dai loro concittadini, circuiti da un migliajo di combattenti nemici, consumate le munizioni, esauste le forze, ma non il coraggio, furono assaltati dagli zuavi, che giunsero a penetrare dentro la casa. Non cedettero quei valorosi: e lottando corpo a corpo, contrastarono ogni palmo di terreno ai soldati irrompenti.

Basterebbe questo fatto, iniziato e compiuto dai soli Romani, per dimostrare che fra Roma e il papato sorse una barriera insormontabile; basterebbe il sangue degli sgozzati di casa Ajani per consacrare la Corte di Roma ad un odio immortale. Nei successivi giorni, 26, 27, 28 e 29, continuarono su varii punti gli assalti alle pattuglie e gli scoppii di bombe Orsini.

In quel medesimo giorno 25, Garibaldi, quasi per vendicare gli assassinati di casa Ajani, riportava la splendida vittoria di Monte Rotondo. Molti pontificj restarono morti in quella gloriosa giornata, e duecento prigionieri e tre cannoni caddero in potere dei nostri.

Alle due antimeridiane del 25 ottobre una compagnia di gendarmi, coadjuvata da un battaglione di zuavi si presentò alla casa Ajani, intimando la consegna delle armi e la resa. Alla minacciosa intimazione i Romani risposero impegnando un sanguinoso conflitto. Erano cinquanta, e non avevano che 28 fucili e 20 bombe alla Orsini!

Questo fatto diede origine ad altro processo, definito colla condanna a morte di due cittadini romani, Giulio Ajani e Pietro Luzzi, la qual pena fu poi commutata, in seguito alla intercessione di re Vittorio Emanuele, in quella dei lavori forzati a vita.

Le più scrupolose ricerche ci pongono in grado di fare interessanti e curiose rivelazioni intorno all'andamento di questo processo, non meno importante di quello che s'intitola dal nome degl'infelici Monti e Tognetti. Ajani e Luzzi, vittime illustri, languono tuttora nella galere del Papa-re.

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