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Aggiornato: 7 giugno 2025
Questo nome, che manca ora al greco volgare, suona moneta di rame, sia poi di semplice rame o di basso biglione, e deriva da [Gr[chalkòs]Gr], [I[aes]I], o da [Gr[chálkeios]Gr], [I[ex aere ductus]I], o meglio ancora da [Gr[chalkíon]Gr] preso in senso di moneta vile, come lo usò Aristofane ([Gr[Batrachoì]Gr], Act. II. [I[Antepirrh]I]. v. 8 e 9): ... [Gr[all
<<Omai convien che tu cosi` ti spoltre>>, disse 'l maestro; <<che', seggendo in piuma, in fama non si vien, ne' sotto coltre; sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di se' lascia, qual fummo in aere e in acqua la schiuma. E pero` leva su`: vinci l'ambascia con l'animo che vince ogne battaglia, se col suo grave corpo non s'accascia.
«Romae simulacrum ex aere factum Cereri primum reperio ex peculio Sp. Cassio quem regnum affectantem pater ejus interemerat.» PLIN. lib. 3 4. Cap. 4.
Indi la valle, come 'l di` fu spento, da Pratomagno al gran giogo coperse di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento, si` che 'l pregno aere in acqua si converse; la pioggia cadde e a' fossati venne di lei cio` che la terra non sofferse; e come ai rivi grandi si convenne, ver' lo fiume real tanto veloce si ruino`, che nulla la ritenne.
Indi la valle, come 'l di` fu spento, da Pratomagno al gran giogo coperse di nebbia; e 'l ciel di sopra fece intento, si` che 'l pregno aere in acqua si converse; la pioggia cadde e a' fossati venne di lei cio` che la terra non sofferse; e come ai rivi grandi si convenne, ver' lo fiume real tanto veloce si ruino`, che nulla la ritenne.
La damigella le stette dinanzi sbigottita, come quella che non aveva mai inteso tanto acerbo rimprovero. Yole gravemente aggiungeva: «Porgimi il velo, Gismonda; sento il bisogno di aere più puro. Voi tutte restate, Gismonda sola mi accompagni nel giardino.»
Al duro pane di cui soleva cibarsi, provveduto una volta all'anno, aggiunse il latte fresco di una giovane mucca; e poichè l'erbe ed i fiori, il purissimo aere, il profumo dei pini, lo splendore del cielo cantavano intorno l'inno della salute e della gioia, non cercava altro.
Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote, però che sanza colpa fa vergogna; ma qui tacer nol posso; e per le note di questa comedìa, lettor, ti giuro, s’elle non sien di lunga grazia vòte, ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro venir notando una figura in suso, maravigliosa ad ogne cor sicuro,
Udì il vanto oltraggioso e la superba Sfida la Dea, che tutte cose impera, E da le sedi adamantine, eccelse, Ove, occulta al creato, erge il suo trono, Chinò lo sguardo, e il rilevò, siccome Commiserando a questa ultima sfera, Bruna ed ultima tanto e tanto audace. Prendea l'aure in quel punto ad ampie vele L'ignifera carena, e fra' tranquilli Miraggi de le fate argenteo il dorso Scopríano a la notturna aere i delfini, Pazzamente esultando; e gi
Movete, o sante Dive, a i vostri onori, cinte le tempie d'odorati allori. Questi nitrendo e dibattendo l'ale si levò in aere, e dopo un lungo corso pervenuto al bel giogo ond'io favello, volando tuttavia, nel duro masso percosse un'unghia, e quei ratto s'aperse larghi versando e liquidi cristalli.
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