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I soldati di Lisandro, circondata la povera casa colonica in Frigia dove Alcibiade e i suoi si sono ricoverati, vi hanno appiccato il fuoco. Alcibiade tenta un'ultima resistenza, ma torna indietro ferito, barcollante, quasi soffocato dal fumo. Timandra, la fedele cortigiana che è stata il buon genio di lui, lo accoglie morente tra le braccia.
Le fiamme crepitano da ogni parte. TIMANDRA. Cimoto, vanne! Le fiamme incalzano! Ancora un istante e non sarai più in tempo. E tu? TIMANDRA. Io... io compio il sacrificio... ed infioro la vittima... vanne! Le fiamme son qui. CIMOTO. Timandra, hai ben sentito che egli mi ha detto di non lasciarti?
Dal dì che Alcibiade mi chiamava a sè, egli non offerse mai vittima ai Numi, senza che io ne avessi la mia parte. Qui si fa un sacrificio in suo onore. Sono il suo parassita. Ci resto! E si avvolge nel suo mantello, attendendo, ritto e fermo, che le fiamme lo avvolgano insieme con Alcibiade e Timandra.
ALCIBIADE. Timandra, un bacio!... Cimoto, a te la raccomando; non distaccarti da lei. Oh, mio padrone! mio padrone! ALCIBIADE. Quando tornerai in Grecia, di' ad Atene che spirai col suo nome su le labbra.... e racconta a Socrate come son morto!... Addio!... Ricordati di Alcibiade! E allora la cortigiana si purifica; vuol morire con l'amato, come olocausto alla Dea sotterranea da lei invocata.
Parola Del Giorno
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