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In tutte le sue produzioni di soggetto moderno non c'è un carattere, una figura che possa star a paro col Cimoto dell'Alcibiade; non c'è una scena che si elevi dalla mediocrit

ALCIBIADE. Timandra, un bacio!... Cimoto, a te la raccomando; non distaccarti da lei. Oh, mio padrone! mio padrone! ALCIBIADE. Quando tornerai in Grecia, di' ad Atene che spirai col suo nome su le labbra.... e racconta a Socrate come son morto!... Addio!... Ricordati di Alcibiade! E allora la cortigiana si purifica; vuol morire con l'amato, come olocausto alla Dea sotterranea da lei invocata.

Ma questi altri nèi impediscono di ammirare la concezione, come l'ammirazione non impedisce di rimpiangere che il carattere di Cimoto non abbia potuto disegnarsi completamente per giustificare il mutamento avvenuto in lui.

Le fiamme crepitano da ogni parte. TIMANDRA. Cimoto, vanne! Le fiamme incalzano! Ancora un istante e non sarai più in tempo. E tu? TIMANDRA. Io... io compio il sacrificio... ed infioro la vittima... vanne! Le fiamme son qui. CIMOTO. Timandra, hai ben sentito che egli mi ha detto di non lasciarti?

C'è un: Vanne! c'è un quel , e il ci resto che può indurre in equivoco, se Cimoto vuol restare suo parassita o restare per prender parte al sagrificio: piccoli nèi di forma che abbondano in tutti i lavori del Cavallotti e che più stonano qui dove la perfezione dello stile dovrebbe essere degna del soggetto greco.