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Aggiornato: 7 maggio 2025


I soldati di Lisandro, circondata la povera casa colonica in Frigia dove Alcibiade e i suoi si sono ricoverati, vi hanno appiccato il fuoco. Alcibiade tenta un'ultima resistenza, ma torna indietro ferito, barcollante, quasi soffocato dal fumo. Timandra, la fedele cortigiana che è stata il buon genio di lui, lo accoglie morente tra le braccia.

Le fiamme crepitano da ogni parte. TIMANDRA. Cimoto, vanne! Le fiamme incalzano! Ancora un istante e non sarai più in tempo. E tu? TIMANDRA. Io... io compio il sacrificio... ed infioro la vittima... vanne! Le fiamme son qui. CIMOTO. Timandra, hai ben sentito che egli mi ha detto di non lasciarti?

Dal che Alcibiade mi chiamava a , egli non offerse mai vittima ai Numi, senza che io ne avessi la mia parte. Qui si fa un sacrificio in suo onore. Sono il suo parassita. Ci resto! E si avvolge nel suo mantello, attendendo, ritto e fermo, che le fiamme lo avvolgano insieme con Alcibiade e Timandra.

ALCIBIADE. Timandra, un bacio!... Cimoto, a te la raccomando; non distaccarti da lei. Oh, mio padrone! mio padrone! ALCIBIADE. Quando tornerai in Grecia, di' ad Atene che spirai col suo nome su le labbra.... e racconta a Socrate come son morto!... Addio!... Ricordati di Alcibiade! E allora la cortigiana si purifica; vuol morire con l'amato, come olocausto alla Dea sotterranea da lei invocata.

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