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Reverenza, reverenza, mormorò più volte il povero prete, strisciando i piedi per terra, e battendosi il petto col mento. S'accomodi, don Omobono, sieda qui vicino a me. Troppo onore; mi hanno detto ch'ella mi comandava. , desidero parlare con lei, ma senza cerimonie, così... da amici. Cosa dice? Troppo onore, reverendissimo!

Sul far della notte ritornò ancora alla confortevole sua tenda del Pomo d'Eva, dove, al primo affacciarsi, vide il suo fratello Omobono, che innanzi ad una tavola attendeva a mangiare a quattro ganascie, chè il trotto vivace a cui s'era posto, viaggiando da San Donato a Milano, gli aveva messo un formidabile appetito. Come sta il marchese? fu la prima domanda che l'Elia fece al fratello.

Il suo cappello colle ale disfatte, il suo abito stretto e monco, le calze di un nero rossastro, e le scarpe scalcagnate attestavano lo stato poco florido delle sue finanze; mentre i lineamenti del suo volto smunto portavano l'impronta della timidezza e della rassegnazione. Don Omobono entrò in una modesta casa della Longara, e salita una scala, bussò a una porta di povera apparenza.

Dammi lo sciallo. Grazie anche una volta, don Omobono. E Lucia si avviò rapidamente verso la porta. Il povero prete non ne poteva più; la fiducia di Lucia, la sua gratitudine, le espansioni del suo amor materno, erano altrettanti colpi di pugnale per lui, che sapeva d'esser venuto a far la parte di Giuda.

Farmi arrestare! gridò il capo-maestro: poi prese per mano il pretuccio tutto tremante, e gli disse con voce vibrante: Ma non sapete, don Omobono, che è finito il tempo delle ingiustizie, delle violenze, dei soprusi? Non sapete, che non passeranno ventiquattro ore che Garibaldi sar

Basta così. Andate pure. Domani, di buon'ora, passerete dal signor Omobono; venga qui nella mattina, e non manchi, e non parli con nessuno. Al signor Consigliere, farete l'imbasciata che gi

Dopo l'incidente di monsignor Pagni, e più ancora dopo l'arresto e il processo di Giuseppe Monti, don Omobono non era più entrato nella casa delle due donne, per paura di compromettersi; ma, quando giunsero i giorni della massima afflizione, quando Monti fu condannato a morte, allora il naturale buon cuore del povero prete la vinse sul sentimento di paura che lo predominava, ed egli accorse a confortare come meglio potè la misera famiglia, e, non potendo far altro, a piangere con quelle donne.

Un prete di vettura, fra i cinquanta e i sessant'anni, piccolo, magro, con un viso da buon uomo, su cui stavano dipinte le afflizioni di una vita stentata, il quale rispondeva appunto al nome di don Omobono, sgambettava per le vie di Roma, nella mattina del giorno 22 ottobre 1867.

Un fulmine che fosse caduto sulla testa di don Omobono non lo avrebbe ridotto in uno stato di annichilamento simile a quello che lo investì in quel punto. Che cosa vedo? esclamò monsignore, alzandosi, raccogliendo il cappello tricornuto, e guardando da vicino il segnacolo della rivolta. La coccarda tricolore! l'emblema dei rivoluzionari! il simbolo della setta!

Fulminò con un'occhiata da tigre la donna, e con voce tremante di rabbia le disse: Potreste pentirvi di avermi trattato così! Intanto don Omobono erasi avvicinato a Teresa, entrata allora nella stanza, e le aveva susurrato all'orecchio: Ditele voi che si rovina, che quello è nientemeno che monsignor Pagni, un prelato, un giudice della Sacra Consulta!