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Sul finire del dicembre, erano in Soulieu il colonnello di cavalleria Bossi, il maggiore Farlatti con uno squadrone di Guide e una piccola compagnia di pionieri comandati da Kauffman: questa spedizione aveva per scopo di danneggiare le comunicazioni dei Prussiani, appunto sulle famose linee che dovevano servire all'esercito di Manteuffel per venire a combattere le truppe di Bourbaki.

La fiducia insomma dei Digionesi in quel momento era giunta al massimo grado: difatti alla sottoprefettura ogni giorno veniva affisso un bullettino in cui Bourbaki annunciava una vittoria: Gambetta aveva fatto sapere a tutta l'Europa che l'uomo della situazione era venuto e che quest'uomo era Chanzy: le notizie di Parigi erano rassicuranti: Trochu giurava di tornare cadavere piuttosto che vinto: Faidherbe non si ritirava... il buon popolo che, malgrado disillusioni su disillusioni, ha sempre bevuto grosso, aveva tutte le buone ragioni di cullarsi in liete speranze.

Nessuna notizia si aveva intanto sulle mosse del nemico; continuava e pigliava piede la voce che i Prussiani si riconcentrassero sotto gli ordini del principe Federigo Carlo per marciare poi separatamente verso il mezzogiorno della Francia, tagliar fuori il Bourbaki, e sbaragliare le nostre file e terminare così la campagna contemporaneamente alla resa di Parigi. Garibaldi continuava ad approfittarsi di questa tregua per concentrare a sua volta la piccola armata dei Vosgi. La brigata Menotti e Bossak erano in Digione: si temeva in quei giorni per Ricciotti, del quale non si sapevano sicure novelle, quantunque si bucinasse di scontri e di prigionieri fatti da lui: Lobbia erasi troppo inoltrato ed oramai era inutile lo sperare di congiungersi a lui. Canzio, coi soldati che avrebbe portato da Chambery e da Lione doveva costituire la quinta brigata; eransi anche radunate ventimila guardie nazionali mobili capitanate da Pelissier... ma di queste sarebbe meglio il non farne menzione: mai caricaturista può avere ideato dei tipi più grotteschi di loro; gli stessi popolani non potevano fare a meno di ridere in vederli passare: certe fisonomie di paura, certe arie d'imbecillit

Cosa dovevamo fare per giungere alle dieci?.. Entrammo nella taverna della sera avanti... Ah! così ci fosse venuto un granchio alle gambe!.. Rivedemmo le simpatiche Ebi che con tanta grazia porgevano il nettare agli avventori, entusiasti delle loro bellezze, le rivedemmo, e ci attaccammo discorso; si parlò della guerra, della Francia, delle donne Italiane, che esse dicevano bellissime, delle prossime emozioni del campo, della moda, dei vestiti corti, del ciuco ammaestrato che facevano vedere sul porto, della guardia mobile, dell'esercito di Bourbaki e dei pasticcini di Strasburgo che non arrivavano più. Erano discorsi le più volte senza senso comune, ma che servivano ammirabilmente per farci ammazzare alla meno peggio qualche ora. Il male si fu, che le parole erano accompagnate dalle libazioni: le libazioni c'indussero a fare il dejuner, questo tirò dietro da se lo Champagne... Avevamo cominciato a sdrucciolare su una sgamba viuzza e ormai bisognava ruzzolare a rotta di collo per tutta la china. Il piacere di esser giunti finalmente in quella Francia, che da tanto tempo agognavamo, il trovarsi accanto a quelle vaghe ragazze, la generosit

Il generale Cremmer pareva messo a bella posta a noi vicino per scombuiare i disegni del pro' Garibaldi: a Baune attaccando intepestivamente il fuoco e non volendo servirsi dell'aiuto del nostro piccolo esercito aveva dovuto ritirarsi, mettendo i nostri in falsa posizione: ora era la causa vera dell'ultimo disastro di Francia, poiché l'armata di Bourbaki nella disastrosissima sua ritirata avrebbe potuto appoggiarsi a questo paese, invece che di gettarsi in Svizzera.