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E un ritratto non basta. Del Thiers, del Gambetta, di Emilio Zola, di Ottavio Feuillet e via discorrendo, una copia, e non più; di Sarah Bernhardt quattro, cinque, sei, magari dieci, spendendo una ventina di lire.

Forse perché riconoscono quelli che ronzan loro dintorno, ma io non sono del mazzo e protesto. Un proclama di Gambetta, affisso alle cantonate, invita i cittadini ad accorrere unanimi alle urne, chiama sosta la sospensione dell'arme, non risparmiando certe spavalderie che non dovrebbero essere più di moda.

Ella si mosse lentamente e io dietro, fingendo di leggicchiare il discorso di Gambetta. Me lo perdoni l'illustre e compianto capo della maggioranza francese! Passo passo giungemmo in una viottola solitaria. Subivo una bizzarra allucinazione.

Questo ed altro poteva, doveva farsi. Il Governo della Difesa non lo tentò: seguì un metodo diametralmente contrario. Un uomo solo, Gambetta, parve volerlo tentare: ma fervido, energico nel linguaggio, fallì all'impresa nei fatti e s'ostinò anch'egli nell'errore di volere salvare la Francia colle mosse e cogli eserciti regolari. Fu colpa di quegli uomini o della Francia?

Dopo aver detto ira di Dio di Garibaldi e Gambetta, l'articolista aveva lo spudorato coraggio di chiamarci i cavalieri erranti della repubblica, i fannulloni Italiani che erano andati in Francia a fare i signori, gli spavaldi guerrieri che non avevano mai veduto il fuoco ma, che trattavano il dipartimento di Saône e Loire, come se fosse un paese conquistato.

Gli occhi tien chiusi e spinge il petto in fuori, torce la bocca ed ha chiavati i denti, strappa ciò ch'ella piglia, e merli e fiori; non sa se donne o uomin sien presenti, qual atto l'onori o disonori, ché trae le lacche e l'alza, occhi veggenti; or si rannicchia ed or si stende in fretta. si torce, s'aggomitola e gambetta. Sei damigelle le tenean le braccia: Marfisa tutte quante le rintuzza.

Sfido! Le son cose che non dicono neanche a una suocera. Eppure è così. A ogni modo, mi feci un coraggio da Quinto Curzio e presi una risoluzione: risi anch'io. E in tanto riso? La signora non desiderava di meglio che darmi piena e intera assoluzione. Coll'indulgenza? Con molta indulgenza. Ci separammo, con una stretta di mano, che valeva tutte le sei colonne del discorso di Gambetta.

Ciò posto, venga il sullodato lettore con me. Dal boulevard des Italiens si svolta nella chaussée d'Antin, dove abita il Gambetta, con la sua République française. In capo alla strada è la piazza, la prateria a forma di scavo e la pagoda della Trinit

Malgrado che sia decaduto, Broek è ancora visitato da quasi tutti gli stranieri che vanno in Olanda. In una stanza della casa che ho descritta, v'è un enorme libro che contiene parecchie migliaia di, biglietti di visita e di firme manoscritte di gente d'ogni paese. Io l'ho scorso tutto. Il maggior numero di visitatori sono inglesi e americani; il minimo italiani, e questi quasi tutti nobili delle provincie meridionali. Fra i molti nomi illustri vidi quello di Victor Hugo, di Walter Scott, del Gambetta e del commediografo Emilio Augier. Fra i ricordi, v'è un calcafogli che l'Imperatore e l'Imperatrice di Russia regalarono a un cittadino di Broek in segno di gratitudine per l'ospitalit

Superbia per superbia, teniamoci quella del sapere qualche volta la lingua degli altri, del potere dare, col Mazzini e col Ruffini, degli scrittori all'Inghilterra, col Fiorentino e con altri parecchi, alla Francia. Qualche volta abbiam fatto di più, dando ai nostri vicini degli uomini di Stato, come il Mazzarino, degli imperatori, come il Buonaparte, dei dittatori, come il Gambetta.