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La seta a' tempi di Aureliano Cesare era cosí rara, che non valeva piú meno d'altrettanto oro a peso: onde Vopisco nella vita di quell'imperadore narra ch'egli «vestem holosericam neque ipse in vestiario suo habuit, neque aliis utendam permisit: libra enim auri tunc libra serici fuit». E 250 anni dopo incirca, Giustiniano imperadore ridusse a monopolio la mercatura della seta, sicché niun altro che il suo tesoriere poteva venderla, il quale, secondo narra Procopio , «unciam serici alia quidem tinctura imbuti sex aureis, regio vero suffecti colore, quem 'holoverum' vocant, quatuor et viginti et amplius dedit». Ed ecco che cosa era quel «holoverus», che hanno altri stimato volesse dir «drappo di pura seta, velluto», ecc.; ed era, per testimonio di Procopio, un colore di gran prezzo, perciò detto «color regio» o «porpora», forse come il nostro «color di foco», «ponsò» e simili, che piú generalmente si dice «tinto in grana». Non erano ancora giunti nell'imperio romano i bachi da seta, le piante de' gelsi, che ora per tutta l'Europa sono fattamente propagate: conciossiacché dall'Indie e da' popoli sericani nel corso di molti secoli passarono alla Persia, e dalla Persia a poco a poco fino a noi, e si sono poscia diffusi fattamente, che, passato nel nostro secolo il seme e la coltura anche in Francia ed in Ispagna, è giá ridotta la seta al valore poco piú d'un ducato d'oro la libbra; ed a minori prezzi ancora è per ridursi, se tanto potranno soffrire le fatiche e sudori de' poveri contadini che gli nodriscono, mentre ormai a gran fatica se ne cava tanto quanto a pagare l'opera ordinaria loro si richiede.