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«Fratello in Cristo, è tua la vita bella, se forzerai le porte del destino!... Riprendi il sacco, mettiti in cammino, taglia le siepi, abbatti i muri, della tua forza tempra un’arma d’oro fino, e vinci se non vuoi vinto cadere, para, se vuoi che colpo non ti tocchi!...» Così cantò, col riso e il sol negli occhi, la Madre. Ognuno avidamente a bere quella dolcezza si gettò a ginocchi.

I suoi occhi lunghi guatano come di dietro alla mascherina di raso bianco. Mortella. E il bello è che non sai se sotto il dòmino nasconda un’arma insidiosa, una piaga brucente o la lanterna d’Aladino. La Rondine. E se nascondesse le tre cose insieme? Mortella. Sarebbe anche più bello. La Rondine. Ma vi volete bene. Mortella. Molto. M’incanta. La Rondine. Ora lasciami andare, Mortella.

Certo, pei Cristiani del secolo quarto, la quistione si complicava e diventava più grave per la circostanza che i libri che Giuliano voleva togliere loro di mano, erano i soli testi di cui si servisse l’insegnamento. Il mondo antico non conosceva la scienza, nel senso moderno della parola. L’insegnamento, nelle scuole, si riduceva alla retorica, con la quale non si imparava che a diventar oratore, ad adoperare quelle forme letterarie di cui il pensiero, sia politico, sia giuridico, sia religioso doveva vestirsi per essere accolto e compreso. Quest’arte non si acquistava che sugli esempi della letteratura antica, per cui l’impedirne l’uso ai maestri cristiani era propriamente un escluderli, in modo assoluto, dal pubblico insegnamento. E, infatti, dei maestri che avevano grande fama, Proeresio ad Atene e Simpliciano a Roma, non volendo piegarsi a nessun atto di apostasia, avevano dovuto abbandonare del tutto la scuola. Ora è certo che Giuliano doveva esser ben lieto di questa circostanza, che gli dava il mezzo di raggiungere lo scopo d’imbarbarire il Cristianesimo. Era un caso fortunato per lui, e del quale egli aveva il diritto di usare, come di un’arma di buona guerra, che dal principio di probit

Il capitano cercava un’arma per fare un massacro, ma erano gi

L’obbedienza era un’arma terribile. Per essa, dicono le male lingue, avevano sfogo le antipatie di persona, gli odii di parte monastica; in essa si epilogavano le vendette personali. I peggiori conventi della provincia eran destinati ad ospitare i paria delle fraterie.