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Aggiornato: 4 maggio 2025
Ventiquattro ore dopo la battaglia di Magenta l'intero esercito austriaco era in ritirata sull'Adda; le avanguardie degli alleati entravano in Milano, ed anche il piccolo corpo dei cacciatori delle Alpi poteva proseguire la sua marcia fortunosa.
Il Castellano fuggì da quelle acque con poco e lacero navilio: delle navi che formavano la squadra comandata da lui medesimo non rimaneva altro che il Brigantino e la Salvatrice, di cui aveva assunto il comando Achille Sarbelloni, oltre poche Borbote, essendo tutti gli altri legni affondati, o rotti fuor d'uso del navigare. De' suoi capitani, Mandello era ferito, il Negri ucciso, e il Matto che aveva condotta la Borbota al lido di Mandello, colto nel retrocedere da una palla di bombarda in una coscia, era spirante. La squadra capitanata da Pirro Rumo, meno guasta e con minor numero di morti e di feriti, non avendo potuto mai oltrepassare la punta di Mandello per unirsi al Castellano, fu costretta a ritornare a Lecco, ove dovette rendersi prigioniera all'Acursio, che si era impadronito di Malgrate, del Ponte sull'Adda, del Porto e di tutta Lecco, eccetto il Castello che aveva però gi
Per questo mancato accordo del generale Cialdini con Garibaldi, l'Urban potè restare impunemente tre giorni sull'Adda, e per altrettanti Garibaldi indugiarsi a Bergamo.
In quel giorno i sovrani entravano nella capitale Lombarda; e Garibaldi era chiamato in Milano da Vittorio Emanuele. Le accoglienze fatte al comandante dei cacciatori delle Alpi furono degne del grande animo del Re, e caldi gli elogi a lui ed ai suoi compagni. Intanto il generale Urban fin dal giorno 7 si era accampato sull'Adda, nei dintorni di Vaprio e vi si era trincerato.
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