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Aggiornato: 31 maggio 2025


Avrebbe scritto un libro. Il Libro! Una grande opera seria, con alti intenti; non un volumetto di brevi poesie scapigliate, effimere, che si leggono oggi e si dimenticano domani. E si era prefissa di non pensare ad altro che al Libro; di non vivere che per il Libro. Avrebbe sognato il Libro; passeggiato per il Libro; respirato, mangiato, dormito per il Libro.

L'avreste tutta, come si suol dire, sotto la mano. Ripeto, non è il fatto mio; ribattè Bartolomeo Fiesco. Voi mi fate più esperto capitano che io non mi sia mai sognato di essere. Chi ha comandato i cento, e magari i cinquecent'uomini, può ritrovarsi con diecimila impacciato come un pulcino nella stoppa.

L’Airoldi correggeva le sgrammaticature e prendeva per oro di coppella il contenuto del manoscritto. Aveva sognato una civilt

Allora, padre mio, le lettere si saranno smarrite per via. Tutte? Tutte, sicuramente: la seconda nello stesso modo e per le stesse ragioni della prima; la terza come la seconda, e così via. Io ho sognato, padre mio, che le lettere del conte Gino, erano state intercettate all'ufficio postale di Modena.

Ma i suoi sogni? Cercò di dimenticarli ma nol potè. Aveva sognato cose strane. Ma le poteva dire false? Non era forse vero quanto aveva sognato; non era la storia, la maestra della vita, l

Il mio pensiero non andava al futuro per calcolarvi i mali preveduti da quel savio procedere. Stava nel presente, che aveva sognato divino e trovava arido e vuoto. Cercava il giovane innamorato e trovava l'uomo savio. Nell'amarezza della delusione gettai sulla carta questa risposta: «Massimo, «La vostra lettera è un plagio.

Aveva sognato. Qualche particolare dei sogni che inconsciamente era andato accarezzando in quei giorni, gli tornava alla memoria. Per esempio, aveva sognato una piccola villa con molti palmizii, addossata a una falange d'ulivi rampicanti sui colli; e tutto in giro, la campagna esalava quella serenit

La suora immaginò che pregasse. Si intenerì. Stese la mano, dopo un poco, e lievemente glie la posò sulla spalla. A che pensa? Penso mormorò l'Ercolano al sogno che ho fatto stanotte. Ho sognato delle ciliege. E mi pareva di averne pieno il grembiale e di mangiarne tante, tante!... Ciliege? Le adoro. S'era fatta lieta. Si dimenticava.

Aveva tocco i quattordici anni, sapeva leggere; nessuno s'era sognato di dargli in mano l'abbecedario o mandarlo cogli altri fanciulli alla scuola del Comune; a nessuno era venuto in pensiero d'insegnargli a ripetere il nome del Signore; ond'egli, ogni volta che tornasse alla chiesa, inginocchiavasi vedendo gli altri far lo stesso, e piangeva non osservato, piangeva, senza sapere il perchè.

Ambedue un tempo avevamo sognato non pur l'amore ma la passione fino alla morte, usque ad mortem. Ambedue avevamo creduto al nostro sogno e avevamo proferito più d'una volta, nell'ebrezza, le due grandi parole illusorie: Sempre! Mai! Avevamo perfino creduto all'affinit

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