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Che cosa gli dissi? A diciott'anni, in quelle occasioni, si versano delle lagrime. Il pianto è la grande e dolce eloquenza della prima giovinezza. Ma a trent'anni non si piange più. A trent'anni si domina la commozione senza soffocarla, e si parla. L'entusiasmo trabocca, altero di stesso, in parole ardite e virili; la fronte si alza, l'occhio divampa, la voce vibra, l'anima grandeggia. Che cos'abbia detto, non so. Qualcuno mi suggeriva nell'orecchio, rapidamente, delle parole ardenti, che io ripetevo colla voce tremante e sonora, provando una immensa dolcezza nel cuore, e vedendo davanti a me, in confuso, una testa bianca che mi pareva enorme, e due pupille fisse nelle mie che pigliavano a grado a grado una espressione di curiosit

Ero come pazzo, m'inginocchiavo a ridere e piangere, balzavo in piedi a pregare, sentendo Iddio infinito e me niente, stendevo dalle finestre le braccia verso il nero scoglio sovrano battuto dai lampi, gli dicevo con trionfante gioia di volermi bene ancora perchè ne tornavo degno. Parlavo così a voce alta e poi ridevo di me stesso, ridevo di esaltarmi per una persona di cui non conoscevo ancora il viso; ma era un ridere felice, pieno di fede, senza la menoma ironia. «There is hope, there is hope» ripetevo «vi è speranza.» E poi mi coprivo il viso colle mani, pensavo; e lei? e lei? Chi sa se aspetti anche lei, chi sa se abbia avuto sogni, presentimenti? Che viso, che nome avr

Io vi chiamavo Menestrello e voi mi chiamavate Reina. Voi portavate i miei colori, io ripetevo le vostre canzoni; e mi ricordo d'una volta che vi nascondeste nel bosco dei leandri per piangere un giorno intero quando scopriste che il verso Enamorado en Leon era sbagliato; prima ve n'eravate accorto, poi lo sapevate correggere. E non l'ho ancora corretto, principessa.

"Me misero! me misero! ripetevo avvilito ahi! tristo cavaliero ch'io sono! Però io mi trovai innanzi ad Ortensia così confuso, da parere uno scolaretto colto in fallo che s'aspetti lo staffile.

Dicono che coloro che stanno pur morire annegati, abbiano una rapidissima visione degli avvenimenti della loro esistenza, rivivendola in pochi istanti con tutti i più minuti particolari. Qualcosa di simile accadeva in me, mentre ripetevo le ultime parole di mia madre: Io specialmente!

Pensavo a quelle schiere di pellegrini che un tempo venivano a Roma per il giubileo e ripetevo fra me e me i bei versi del sonetto della Vita nuova: Deh! peregrini, che pensosi andate, Forse di cosa che non v'è presente; Venite voi di lontana gente, Com'alla vista voi ne dimostrate?

Non è una colpa, mi ripetevo io allora in mente, e mi pareva di serrarmi Violet sul cuore, di convincerla con i miei baci, di dirle ch'era la mia sposa, il mio corpo, l'anima mia, il mio piacere, il mio desiderio per sempre; e che di ciò non daremmo conto agli uomini, ma solo a Dio.

E continuavo a ripetere queste parole: «Quanto tempo che non vi vedo, Max!» e studiavo in esse l'intonazione della sua voce. Dove e quando mi avrebbe salutato così, dacchè non dovevo più vederla? Non ne sapevo nulla, ma udivo quelle parole, e mi scendevano al cuore; e le ripetevo con tale insistenza che ne ero sbalordito, ed il capo mi pesava come dopo un'emicrania.

Io lasciava che si tranquillasse, poi ripetevo il gioco, e la poverina diveniva pensosa ed inquieta. Una volta ebbe come un'idea, un sospetto del vero, perchè la vidi cercare collo sguardo la mia mano sinistra. Ma questa era tornata gi

Talora però, quando nel rispondere a una lettera mi sentivo un po' svogliato e quasi tediato, in certe strane pause che nella lontananza ha anche una passione forte, io credevo questo un indizio di disamore; e ripetevo a me stesso: "Chi sa!" Un giorno, mia madre disse a Giuliana, in mia presenza: Quando ti leverai, quando ti potrai muovere, andremo tutti insieme alla Badiola. Non è vero, Tullio?