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Aggiornato: 26 giugno 2025
La Gege aprì l'uscio e sollevò la portiera; ma Andrea rimaneva fermo sulla soglia. Non ardiva inoltrarsi in quell'oscurit
Si rigettò in carrozza; Michele fe' schioccar la frusta, e galoppò finchè Sant'Aubert quasi fuor de' sensi, gli fece segno di fermarsi. Emilia guardava alla portiera: vide alla perfine un contadino a qualche distanza: lo aspettarono e gli chiesero se non vi fosse ne' dintorni alloggio pe' viaggiatori.
Il sagrestano, che stava in vedetta stringendo nella mano la berretta di lana, aperse la portiera della carrozza e s'inchinò a un signore piuttosto grassotto vestito di scuro che discese per il primo.
I due amici si fecero per moto naturale a guardarla, e per la portiera, che era aperta, videro il Montalto co' suoi padrini e il chirurgo.
Mi trovo la forza di aprire la portiera. In una mano ghiacciata è appoggiata una manina tremante. Non ci parliamo, ma ci guardiamo, camminiamo accanto. Quei due esseri pallidi, senza voce, tremanti come bimbi sono un uomo a trent'anni forte e coraggioso, una donna di spirito e di coraggio. Alla porta le faccio una domanda insulsa, inutile. Hai il biglietto? Lo ha, me lo mostra. Passiamo.
Non mi smarrii; nessuno dei miei sensi s'oscurò. Vidi le stelle del cielo che oscillavano come se un vento superno le agitasse; vidi i moti illusorii ma terrifici che la luce mobile della lampada metteva nella portiera; udii distintamente la ripresa della pastorale, i latrati d'un cane lontano. Un guizzo del bambino mi fece trasalire. Egli si svegliava.
Mi trovo la forza di aprire la portiera. In una mano ghiacciata, è appoggiata una manina tremante. Non ci parliamo, ma ci guardiamo, camminiamo accanto. Quei due esseri pallidi, senza voce, tremanti come bimbi, sono un uomo a trent'anni forte e coraggioso, una donna di spirito e di coraggio. Alla porta le faccio una domanda insulsa, inutile. Hai il biglietto? Lo ha, me lo mostra. Passiamo.
Senza dare alla giovine il tempo di rispondere, suonò il campanello ed alzata una portiera scomparve. Rientrò nel suo spogliatoio profondamente accasciata e lasciatasi cadere su di un divano, nascose il viso sconvolto in un guanciale di velluto ricamato e pianse, pianse lungamente, mormorando fra i singhiozzi: Oh!... infame, infame... ed io che l'amavo tanto.
Era quella la tristissima ora, l'ora saturnia della giornata, per quella povera bella. Era l'ora in cui, in altri tempi, il campanello scosso mandava il più argentino dei suoi squilli, e poco dopo il servitore, sollevando la portiera del salotto dov'ella stava a lavorare, o a suonare il cembalo, diceva le consuete parole: «il signor Eugenio Percy.» Egli entrava e portava la luce con sè.
Una delle maschere che così discorreva dietro la portiera l'aperse leggermente e, sporto fuori il capo, fece cenno all'altra che pur si affacciasse fra le tendine, dicendole all'orecchio: Che ardire! che bravura! che uomo maraviglioso!
Parola Del Giorno
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