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Aggiornato: 29 maggio 2025


La cagione perché Lombardia si chiama, è che, partitisi certi popoli dell'isola di Scandinavia, la quale è tra ponente e tramontana in Oceano, chiamati dalle barbe grandi e da' capegli, li quali s'intorcevano davanti al viso, «longobardi», e sotto diversi signori, e dopo lunghissimo tempo in varie regioni venendo, dimorati, si fermarono in Ungheria, e in quella stettero nel torno di quarantasei anni; poi, a' tempi di Giustiniano imperadore, essendo patricio in Italia per lui un suo eunuco, chiamato Narsete, e non essendo bene nella grazia di Sofia, moglie di Giustiniano, ed essendo da lei minacciato che richiamare il farebbe e metterebbelo a filare colle femmine sue, sdegnato rispose che, s'ella sapesse filare, al bisogno le sarebbe venuto, percioché egli ordirebbe tal tela, ch'ella non la fornirebbe di tessere in vita sua; e carichi molti somieri di diversi frutti, con una solenne ambasciata gli mandò in Ungheria ad Albuino, il quale allora era re de' longobardi, mandandolo pregando che egli co' suoi popoli venissero ad abitare quel paese, ove quegli frutti nascevano.

La durezza di cuore è meno offensiva del disprezzo, ma però spiace talmente, che difficil cosa ella è il rimanere affezionato inverso a quegli che la dimostra. Fa stomaco il modo con cui il vicerè ragguagliava il conte Fontanelli, ministro di guerra, del quasi totale eccidio dell'esercito italico. Un capitano, per vero dire, non piange i soldati che gli cadono a fianco, perocchè lo stesso destino gli è forse riserbato, e coll'intenerirsi sopra chi non è più, ei può temere d'apparir timoroso per medesimo. Ned io vo' punto che il principe Eugenio avesse recitata l'orazione funebre dei ventisettemila Italiani sepolti nelle pianure della Russia, pretenderei che a loro riguardo egli avesse spesa alcuna frase patetica, e detto altrimenti che: i ventisettemila uomini partitisi meco sono ridotti a dugentrentatrè; fate altre leve, e mandatemi gente abbastanza per surrogare gli estinti; ma vorrei sotto queste parole, asciuttissime in vero, travedere un'angosciosa commozione ch'egli tentasse di occultare. Mi si opporr

Ad onta dei bandi viceregali e delle promozioni testè menzionate, l'esercito italico rimase attonito e costernato in sulle prime dalla notizia dell'armistizio conchiuso fra il principe Eugenio e il maresciallo Bellegarde. Ma ben presto si dileguò quella costernazione. Il generale Teodoro Lecchi assicurò l'esercito che il vicerè non s'indurrebbe giammai ad abbandonarlo, e che ogni sforzo di lui tenderebbe, all'incontro, a stabilirsi fermamente in mezzo all'esercito stesso ed in Italia. Le quali assicurazioni mutarono repentinamente in trasporti di gioia e di riconoscenza le mormorazioni che prima si erano udite. Gli è certo, di fatti, che i generali Fontanelli e Bertoletti, partitisi pria del 20 d'aprile da Mantova per a Parigi, e latori di istruzioni ufficiali per non chiedere altro che la conservazione e l'independenza del reame d'Italia, erano stati inoltre incaricati, non solo dal vicerè, ma e dall'esercito, di far instanza acciò al principe Eugenio venisse data la corona italica. Intanto l'avviso ufficiale del conchiuso armistizio, e l'ordine di convocare il senato per la nomina dei due oratori del governo da spedirsi a Parigi, erano gi

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