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Gervaso si guadagnò in poco tempo la confidenza e la simpatia di Erminia. Egli l'amava quella fanciulla d'amor paterno ed il bacio che la giovane educanda stampava sulle sue gote aggrinzite gli facevano dimenticare quei dolori, quei tristi ricordi che gli si potevano scorgere attraverso le rughe della fronte, nell'espressione austera de' suoi lineamenti.

Gervaso fece ancora alcuni passi e s'arrestò. Oramai distava pochissimo dal conte, lo prese di mira, indi si udì un'altra detonazione, ampia, cupa come la prima. I padrini chiusero inorriditi gli occhi; ma il conte era in piedi, le gambe però gli tremavano sotto, pose una mano sul ventre e camminò ancora muto, inesorabile nella sua marcia.

Il conte Sampieri muove incontro ai due amici e presenta loro lo sconosciuto pel proprio padrino; era il medico di Melzo. Gervaso a sua volta presenta Nicodemo. I due padrini si stringono la mano, e senza profferir parola si recano ad esaminare le armi. Nicodemo che trema al solo vedere un'arma da fuoco, si rimette in tutto al medico, che presente i due avversari, carica le quattro canne.

Veniva in traccia di voi, signor Flavio, disse la Direttrice colla solita sua gentilezza; le mie signorine v'aspettano coi disegni, ansiose d'avere le vostre correzioni; fatemi adunque il favore a recarvi da loro; avrete certamente di che divertirvi. Gli è che il signor Flavio, favellò Gervaso, bisogna che rinunci da questo momento al suo impiego di maestro. Flavio impallidì.

V'assicuro ch'io so nulla di tutto questo, rispose la Direttrice sorpresa. Ah, voi sapete nulla, continuò Gervaso; ve lo dirò io il motivo: perchè quella povera fanciulla non ha la fortuna di essere nobile e ricca come tutte le sue compagne e voi la trascurate e per lei non avete cure. Ma non vi paghiamo forse puntualmente la sua pensione?

I due giovani lo scorsero e trasalirono. Voi, gridò Erminia, e cedendo ad un primo impeto di timore e di vergogna, fuggì attraverso le piante. Chi siete o signore, tuonò Gervaso fulminando Flavio con uno sguardo, che cosa fate in questo luogo, rispondete. Flavio rimase in piedi muto, annichilito, tremante.

Oh, voglia il cielo ch'io non abbia un giorno a maledire quei diritti che fatalmente vi siete arrogati sulla mia esistenza. Erminia, figlia mia! E la misera giovinetta, rientrata in stessa dalla voce soave del buon vecchio, coprendosi il volto colle mani, si gettava sul suo letticciuolo rompendo in singhiozzi. Gervaso era oppresso dall'angoscia.

Sentite Gervaso, continuò, veramente dovrei incominciare a chiamarvi signor conte, ma per ora permettete, sto forse per rendervi un'immenso servigio e la gioja mi confonde le facolt

Oh! e perchè mai? chiese meravigliata la Direttrice. Perchè, rispose Gervaso fissando severamente in volto il sedicente maestro, perchè egli non può fermarsi un minuto di più in questo Collegio. Ma davvero, signor Flavio, che ciò mi sorprende. E non potrei conoscere il motivo di tale improvvisa risoluzione? Scusate ma per ora non lo potete, rispose Gervaso.

Gervaso parve riflettere; non potè a meno in cuor suo d'ammirare la purezza e la poesia di quel sentimento; indi, rialzato il volto venerando, con voce vibrata ad un tempo ed affettuosa disse: Giovinotto, voi lascerete immediatamente questo collegio, e non penserete più ad Erminia. Flavio fece un atto di dolorosa sorpresa.