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Aggiornato: 25 giugno 2025


SPELA. Ed io ho a comprare il zibetto a quel pazzo del mio. LELIA da ragazzo sotto nome di FABIO e FLAMMINIO giovene innamorato. FLAMMINIO. Gli è pure una gran cosa, Fabio, che, in fino a qui, non abbi potuto cavare una buona risposta da questa crudele, da questa ingrata d'Isabella.

FLAMMINIO. Va' adesso: e, caso che ancor fusse in casa d'Isabella, aspettalo fin che gli esca e fallo poi venir subito. CRIVELLO. Oh! Che saprò io se v'è o se non v'è? volete forse ch'io ne domandi alla casa di lei? FLAMMINIO. Mira che asino! Parti che cotesto stesse bene? Credelo a me ch'io non ho servidore in casa che vaglia un pane altro che Fabio.

Andarò a trovar Clemenzia che so che m'aspetta in casa; e con essa disporrò quel che abbi da essere della vita mia. CRIVELLO e FLAMMINIO. CRIVELLO. E, se non è cosí, fatemi impicar per la gola; non tanto tagliar la lingua. Vi dico che gli è cosí. FLAMMINIO. Da quanto in qua? CRIVELLO. Quando voi mi mandasti a cercar di lui. FLAMMINIO. Come andò?

Dimmelo un'altra volta, perché egli mi niega d'averle oggi potuto parlare. CRIVELLO. Sará buon che vel confessi! Dico che, aspettando io di vedere s'egli dava di volta intorno a quella casa, lo vidi uscir fuore. E, volendosi giá partire, Isabella lo richiamò dentro: e, guardando se fuore era alcuno che gli vedesse, non vi vedendo persona, si baciorno insieme. FLAMMINIO. Come non vider te?

E però, madonna Lelia, quando voi ve ne contentiate, io non voglio altra moglie che voi; e promettovi, a di cavaliere, che, non avendo voi, non son mai per pigliar altra. LELIA. Flamminio, voi mi sète signore e ben sapete, quel ch'io ho fatto, per quel ch'io l'ho fatto; ch'io non ho avuto mai altro desiderio che questo. FLAMMINIO. Ben l'avete mostrato.

Abbiate pazienzia fino ch'egli esca fuore. FLAMMINIO. E' nol farebbe Iddio ch'io avessi piú pazienzia. CRIVELLO. Voi guastarete la torta. FLAMMINIO. Io mi guasti. Tic, toc, toc. CLEMENZIA. Chi è? FLAMMINIO. Un tuo amico. Viene un poco giú. CLEMENZIA. Oh! Che volete, messer Flamminio? FLAMMINIO. Apre, ché tel dirò. CLEMENZIA. Aspettate, ch'io scendo.

LELIA. Contentissima. CRIVELLO. Oh ringraziato sia Dio! E voi, padrone, signor Flamminio, sète contento? E avertite ch'io son notaio; e, se nol credete, eccovi il privilegio. FLAMMINIO. Tanto contento quanto di cosa ch'io facesse giá mai. CRIVELLO. Sposatevi e poi colcatevi a vostra posta. Oh! Io non v'ho detto che voi la baciate, io. CLEMENZIA. Or sapete che mi par che ci sia da fare?

FLAMMINIO. Io ti giuro, per la virtú di quel sole che tu vedi in cielo, e ch'io non possa mai comparire dove sien gentiluomini e cavalieri par miei, s'io non togliesse prima per moglie questa tale, ancor che fusse brutta, ancor che la fusse povera, ancor che la non fusse nobile, che la figliuola del duca di Ferrara. CLEMENZIA. Questa è una gran cosa. E cosí mi giurate?

FLAMMINIO. Cosí non fusse! ch'io ho paura che questo non sia la cagion di tutto 'l mio male: perché io amai giá molto caldamente quella Lelia di Virginio Bellenzini di ch'i' ti parlai; e ho paura ch'Isabella non dubiti che questo amor duri ancora e, per questo, non mi voglia vedere. Ma io gli farò intendere ch'io non l'amo piú; anzi, l'ho in odio e non la posso sentir ricordare.

FLAMMINIO. Quanto ha che questo fu? PASQUELLA. Adesso, adesso, adesso. Poi mi mandorno, correndo, a dirlo a Clemenzia e a chiamarla. CLEMENZIA. Digli, Pasquella, ch'io starò poco poco a venire. Va'. LELIA. O Dio, quanto bene insieme mi dái! Io muoio d'allegrezza. PASQUELLA. Sta' poco, ché io ancora ho tanto da fare che guai a me! Voglio ire adesso a comprare certi lisci. Oh!

Parola Del Giorno

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