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Aggiornato: 26 luglio 2025
E Tognetti, che aveva riconosciuta quella voce, sussultò dal piacere, e stretta vivamente la mano di Monti, che aveva vicino, gli disse all'orecchio: Ascolta, ascolta! È Curzio che parla.
RUFINO. Voi avete el torto, ché le cose belle piacciono a ognuno. CURZIO. Tel concedo, questo. Ma non cognosce lui che quella non è farina da' suoi denti? RUFINO. Anzi, lui si pensa che, per aver quattro letteruzze affumate, che tutte le donne di questa cittá siano obligate a volergli bene. CURZIO. Non ne parliam piú.
Mio figlio è stato arrestato, perchè difendeva un altro, nell'atto che i birri volevano arrestarlo, e quest'altro, monsignore, era Curzio Ventura. Ora perchè Curzio Ventura è salvo, e mio figlio è in procinto di essere condannato a morte? Mio figlio doveva essere liberato; io aveva ottenuto la promessa dalla principessa Rizzi, e per suo mezzo anche la vostra, monsignore.
Sfido! Le son cose che non sì dicono neanche a una suocera. Eppure è così. A ogni modo, mi feci un coraggio da Quinto Curzio e presi una risoluzione: risi anch'io. E in tanto riso? La signora non desiderava di meglio che darmi piena e intera assoluzione. Coll'indulgenza? Con molta indulgenza. Ci separammo, con una stretta di mano, che valeva tutte le sei colonne del discorso di Gambetta.
Nel giorno seguente Curzio, mulinando sempre mille diversi progetti, aspettò con impazienza il momento in cui lo stesso sergente sarebbe venuto ad aprire la porta della sua cella, ed egli sarebbe stato libero di passeggiare nella loggetta.
E questi tali dichino tanto che crepino. RUFINO. Ámenne. Aspettate qui, se vi pare. CURZIO. Odi. Oh Rufino! RUFINO. Che vi piace? CURZIO. A che modo gli dirai, che non se nne accorghino li vicini? RUFINO. Giá mi ha detto Filippa ch'io dica che sono el fratello della Ceca. CURZIO. Or vanne, adunque. Odi un'altra cosa. RUFINO. Dite: che volete?
CECA. Chi è la giú? RUFINO. Sono el fratello della Ceca vostra. CECA. Chi sei? Antonio? RUFINO. Madonna sí. CECA. Tu sia el ben venuto. Aspetta, ch'io ti vengo a oprire. RUFINO. Zi! Patrone, acostatevi. CURZIO. O Dio, aiutame. RUFINO. Acostatevi piú alla porta. CURZIO. Che te hanno detto? RUFINO. Adesso vengono a oprire. CECA. Entrate, olá! Non fate rumore.
CURZIO. Avertisci che non ti caschino. RUFINO. Non dubitate. Ma, da qui a un poco, potrete ben dire che vi sieno caduti. CURZIO. Anzi, farò conto de avergli alogati in buona parte.
Io, per me, farò ogni cosa pur che lo trovi. Va bene. Vuole ch'io vada sino a casa d'una certa Filippa che abita in Treio e ch'io veggia di parlar al servo di misser Curzio el quale è innamorato della figliuola. E hami imposto ch'io gli dica ch'ella è contenta e che, stanotte, ne venga su le tre ore, pur che del prezzo che molte fiate li ha mandato a offerire non gli venghi meno.
Che buon per me? che aresti fatto? RUFINO. Avria mandato per madonna Fulvia. CURZIO. E pur lá ritorni. RUFINO. Ci torno, signor sí; e ritornaròvi sempre, ché voi non avete però causa di volergli male. CURZIO. Io, per me, non gli vo' male. Tu hai torto. RUFINO. Assai mal me pare che li vogliate, quando la tenete lontana da voi.
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