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In questo dialogo, al quale, come a tutti gli scritti di Giuliano, non manca che il lavoro della lima, per esser eccellente, egli ci dice quale sia secondo lui il dovere di un sovrano. Ed è così alta la sua idea del dovere ch’egli comprende in una disapprovazione comune tutti gli imperatori che l’hanno preceduto, eccettuando il solo Marco Aurelio. Pare che anche le glorie guerresche non trovassero grazia agli occhi suoi, e non costituissero un merito per chi le avesse guadagnate. Giuliano, pertanto, avrebbe dovuto essere un imperatore pacifico, tutto intento a quella propaganda religiosa che era la sua più viva preoccupazione. Ma la natura vinse la ragione ed egli dimostrò che, malgrado le sue belle teorie, egli aveva molto di quell’Alessandro a cui per bocca del sarcastico Sileno non risparmiò le sue frecciate. Questo neoplatonico incoronato era, nel profondo dell’essere, un soldato, e le attrattive della gloria avevano per lui un fascino ch’egli non confessa, ma che era irresistibile. È così che il primo suo pensiero, appena toccato il trono, fu di gittarsi in quella folle guerra di Persia, che non era voluta che dallo spirito di avventura e dal desiderio di far stupire il mondo con un’impresa colossale. Quanto fosse vivo ed impaziente quello spirito ce lo dice Libanio, il quale, nel discorso necrologico, descrive l’ardore di Giuliano nel correre a quell’impresa. A stento egli concesse un breve indugio pur necessario all’istruzione dei soldati e dei cavalli, e, intanto, fremeva pel timore che alcuno potesse dire di lui, schernendolo, che egli era della medesima famiglia del timido Costanzo. Il re di Persia gli manda una lettera, proponendogli di deferire ad una commissione arbitrale il componimento delle discordie fra la Persia e l’Impero. Tutti scongiuravano Giuliano di accettare la proposta. Ma egli, gittando via la lettera, dichiara esser disonorevole il discutere coi distruttori di tante citt

All'annunzio di tanta scoperta tutti richiesero quale fosse la dottrina di Alessandro Fortis, la modestia del quale venne offesa specialmente perchè egli non ricordò di averne formulata mai alcuna sua propria, e che se per sua dottrina volevano prendersi gli accenni simpatici al socialismo di stato, fatti in momenti di espansione a Bologna o altrove, non potevasi e non dovevasi sospettare che tali accenni costituissero la sua dottrina, poichè egli si era affrettato a ripudiarli coi discorsi alla Camera e specialmente coi voti dati, coi fatti.