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XXII. Al Colonnello Luca Antonio Poi che rea sorte ingiustamente preme voi, ch'alto albergo sete di valore, sento, spirto gentil, un tal dolore, che con voi l'alma mia ne giace insieme. L'anima mia ne giace, e 'l petto geme, di non poter mostrar nel riso il core, a voi, cui bramo con perpetuo onore, piacer servendo, insino a l'ore estreme

Tratto al macel venía Uno zoppo asinel, che in voce umana Tapinavasi invan lungo la via. Folta era intorno a lui la disumana Turba, che il morso del digiun sentía; E qual dicea ch'alto miracol fosse, Chi d'insulti il pungea, chi di percosse.

36 E quel s'armava, e se gli venìa a opporre ora su l'una, ora su l'altra riva; che se 'l guerrier venìa di vêr la torre, su l'altra proda il re d' Algier veniva. Il ponticello è il campo ove si corre; e se 'l destrier poco del segno usciva, cadea nel fiume, ch'alto era e profondo: ugual periglio a quel non avea il mondo.

E Tu, ch'alto adoprando, ampio sentiero T'appresti, o CARLO, a le magion stellanti, Mentre pur sali, e nel vïaggio altiero Belle orme imprimi, odine lieto i canti; Non perchè 'l corso del real pensiero Spronar tu deggia del grand'Avo ai vanti; Non è mestier: così spedito, e franco Voli a le mete eterne unqua non stanco.

A l'ammonir del tenebroso nume Placasi il Turco, e, raggirando il freno, Impon il suon, c'ha di raccor costume, E fra le tende aspetta il sereno. Ma, poi ch'a l'armi sue vien manco il lume, Da la pugna AMEDEO cessa non meno, E per mezzo il dolor, ch'alto s'udìa De' Turchi oppressi a la citt

Sotto vago cimier ch'alto risplende Per piume, onde airon videsi alato, La fronte giovenile orna e difende Sopra le chiome d'or feltro dorato; Giù da cinto di smalti il brando pende Ed ha ne la sinistra arco lunato, E la faretra gli sonava al tergo, D'acuti strali singolare albergo.

21 Ma di che debbo lamentarmi, ahi lassa fuor che del mio desire irrazionale? ch'alto mi leva, e ne l'aria passa, ch'arriva in parte ove s'abbrucia l'ale; poi non potendo sostener, mi lassa dal ciel cader: qui finisce il male; che le rimette, e di nuovo arde: ond'io non ho mai fine al precipizio mio.

POPPEA È tempo al fine, tempo è, Neron, ch'alto rimedio in opra da me si ponga, poiché sola io 'l tengo. Queta mai non sperar l'audace plebe, finch'io son teco. Ah! generosa prole, qual darle io pur di Cesari son presta, Roma or la sdegna. Alla prosapia infame di egizio schiavo un pervenga, è meglio, la imperial possanza.

Poi tra l'angoscia, onde si stempra il core, Il collo abbraccia del signor diletto, E vien da quegli occhi il pianto fuore, Che 'l viso tutto, e gliene lava il petto; Tal colmi di mestizia e di dolore Vanno a le tende del real ricetto, E grande il morto Re turba accompagna, di tanti è pur un ch'alto non piagna.

A i generosi accenti Cotal Giassarte la risposta porse: Che soggiunger poss'io? non ti rammenti Qual tra noi fama questi trascorse? Ch'a pro dovea de le rinchiuse genti AMEDEO tosto a la battaglia esporse, AMEDEO, ch'alto nell'Italia impera, Del cielo stirpe glorïosa altiera?