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Aggiornato: 8 maggio 2025
Finalmente, calmandosi alquanto, acconsentì che Cesario andasse prima in cerca di un ricetto. Emilia, vedendolo risensato, si disponeva ad uscire, quando Montoni glie l'ordinò per mezzo d'un servo, aggiungendo che se il conte non era partito, dovesse allontanarsi immediatamente. Gli sguardi di Morano sfavillarono di sdegno, e si fece di fuoco.
Il conte non aspettò una seconda sfida; consegnò Emilia a Cesario, e voltosi con fierezza: «Sono da te, infame,» gridò egli menandogli un colpo da disperato. Montoni si difese valorosamente, ma furono separati dai seguaci, mentre Carlo strappava Emilia alla gente di Morano.
Ah vile!» gridò l'altro sciogliendosi da chi lo tratteneva e correndo addosso al conte. Uscirono dalla porta del corridoio. Il combattimento fu così furioso, che nessuno ardì avvicinarsi. Montoni, d'altra parte, giurava di trafiggere il primo che si fosse frapposto. La gelosia e la vendetta aumentavano la rabbia e l'acciecamento di Morano. Montoni, più padrone di sè stesso, ed abilissimo, ebbe il vantaggio, e ferì l'avversario; ma questi parendo insensibile al dolore e alla perdita del sangue, seguitò a battersi, e piagò Montoni leggermente nel braccio, ma nell'istesso momento toccò una larga ferita, e cadde in braccio a Cesario. Montoni, appoggiandogli la spada al petto, voleva obbligarlo a chieder la vita. Morano potè appena replicare con un gesto ed una parola negativa, e svenne. L'altro stava per trafiggerlo, ma Cavignì gli trattenne il braccio: cedette però con molta difficolt
Conte Morano,» diss'ella alzandosi, e respingendolo mentre si avanzava, «io sono adesso in poter vostro, ma riflettete che una simile condotta non può acquistarvi la stima di cui pretendete esser degno.» Qui fu interrotta dal brontolìo del suo cane, che saltò giù dal letto per la seconda volta; Morano guardò verso la scala, e, non vedendo alcuno, chiamò ad alta voce Cesario.
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