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Di che cosa? domandò la fanciulla, rientrando in medesima. Della mia proposta. Non le pare uno zucchero, al paragone della vita che fa con quel figuro? Andremo a viaggiare; ci daremo bel tempo.... Signor Ceretti! esclamò Maria, strappando la mano dalle strette del Don Giovanni e balzando in piedi con aria di sdegno. Io non la intendo....

, è proprio casa mia! Cioè.... di mastro Ceretti. Se fosse mia, l'avrei gi

Essa non gli aveva detto nulla dell'insolenza del Ceretti e de' suoi ardimenti ingiuriosi. Però il Salvani, appena fu tornato dalla piazza de' Banchi, salì tranquillamente al primo piano, in casa Ceretti. Il biondo Arturo era seduto alla sua scrivania, in mezzo a fasci di carte bollate e non bollate, scritte di locazione, atti di citazione, conti di capomastri e va dicendo.

Sta bene! rispose il Ceretti, e si fece a contare il denaro, che Lorenzo gli aveva posto dinanzi. Ma lo contava con le dita, e la sua mente non vigilava il conto. Egli infatti temeva che, saldato il debito, Lorenzo Salvani uscisse fuori con qualche sfuriata, e a questo pensiero i polsi gli davano le battute doppie. Ora notar questa cosa e sapergli male fu tutt'uno.

Lasciate dunque fare a me; disse il Bello. Se l'amico ha il denaro, come io credo, potremo metterlo subito a segno, questo signor Ceretti, e fargli passar la voglia di amoreggiare colle sue pigionali. Amen! rispose tra due bocconi il nostro Michele, a cui le buone promesse dell'altro avevano fatto tornare l'appetito.

Le pietre nere riquadrate formavano la base e il primo piano della casa accennata; e la cornice sotto il secondo piano, colla sua fila d'archetti del vecchio stile lombardo, era anch'essa di pietra dello stesso colore, venuta dalle cave di Promontorio. Anticamente la casa aveva posseduti i suoi portici; ma da un pezzo il vano tra le colonne si era rimpicciolito ad usci di botteghe, e le colonne bisognava indovinarle sotto l'intonaco profano di secoli più recenti. Gli eruditi diranno a chi fosse appartenuta quella casa, e per qual filiera di vendite fosse caduta in balìa di un mastro Nicola Ceretti di Molassana, antico muratore, fattosi ricco più tardi del suo milioncino, e di un figlio unico, il quale, tranne il nome profumato di Arturo e la naturale differenza d'et

Così narrò dell'Arturo Ceretti, di quel Ganimede da dozzina, e delle pretensioni che aveva presso la sorella adottiva di Lorenzo Salvani; come fosse respinto da lei e picchiato dal servo Michele; come questi avesse cantato, ed egli, Garasso, per far servizio al gesuita, gli avesse recato in mano quest'altro filo della sua trama tenebrosa; la quale doveva riuscire al colpo della falsa perquisizione e al furto della cassettina d'ebano.

In che modo? Stamani è andato da lui il Ceretti, quella perla di giovinotto che m'avete messo voi per le mani, ad offrirgli di comperar lui la Montalda. Lo ha accolto come si accoglie il salvatore; ma quando ha udito che il Ceretti non intendeva spender più di quarantamila lire, gli son cadute le braccia.

Era quello il caso di mandare la citazione; ma per quella volta il meccanismo dei Ceretti si dipartì dalle sue astiose consuetudini. In cambio dell'usciere, andò il giovine Arturo, vestito con quella eleganza che i lettori conoscono, carico d'oro, di profumi e di smancerie.

Ed era per far venire i fatti dopo le parole, quando Maria s'intromesse, e accennando con la mano al fiero Michele che stesse cheto, disse con accento deliberato al Ceretti: Se ne vada di qua!