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Aggiornato: 24 giugno 2025
El quale more di fuora eccellentemente. Se cosí bene di drento more, non sentirá cosa che io gli faccia; e cognoscerollo a questo. Zas! Bene. Zas! Benissimo. Zas! Optime. Calandro! o Calandro! Calandro! CALANDRO. Io son morto, i' son morto. FESSENIO. Diventa vivo, diventa vivo. Sú! sú! ché, alla fé, tu muori galantemente. Sputa in sú. CALANDRO. Oh! oh! uh! oh! oh! uh! uh!
Lidio da donna si veste e in la sua camera terrena Calandro aspetta e da fanciulla galantissima se gli mosterrá. Poi, al far quella novella, chiuse le finestre, una scanfarda a canto se gli metterá: attento che di sí grossa pasta è il gocciolone che l'asino dal rosignolo non discerneria. Vedilo che ne viene tutto allegro. Contentiti el ciel, padrone. CALANDRO. E te, Fessenio mio.
CALANDRO. Fessenio, per essere con lei farò ogni cosa, sino andare scalzo a letto. FESSENIO. Ah! ah! Scalzo a letto, ah? Questo è troppo. Non piaccia a Dio. CALANDRO. Di' pur sú. FESSENIO. Ti bisogna, in fine, esser facchino. Tu sei sí travisato di abito e, per essere stato morto un pezzo, nel viso se' sí cambiato che non fia chi ti conosca.
CALANDRO. Certo, no, ch'io non la veggo. FESSENIO. Cosí non si vede la morte, quando si muore. CALANDRO. Perché si è fuggito il facchino? FESSENIO. Per paura della morte: sí che temo che a Santilla oggi andar non potrai. CALANDRO. Morto son se oggi con lei non sono. FESSENIO. Io non saprei in ciò che farmi: se giá tu non pigliasse un poco di fatica.
Va' e trovalo in modo che io non mi abbia a scommettere, per l'amor di Dio! perché questo braccio m'amazza. FESSENIO. Cosí farò in un tratto. CALANDRO. Io anderò in mercato, e tornerò qui subito. FESSENIO. Ben di'. Addio. Sará or ben ch'i' trovi Lidio e seco ordini questa cosa della quale ci fia da ridere tutto questo anno.
FESSENIO. Chi era, ah? non la cognosci? CALANDRO. No. FESSENIO. È la Morte che teco era nel forziero. CALANDRO. Meco? FESSENIO. Teco, sí. CALANDRO. Oh! oh! lo non la vidi mai lá drento meco. FESSENIO. Oh buono! Tu non vedi anco il sonno, quando dormi; né la sete, quando bevi; né la fame, quando mangi. Ed anco, se tu vuoi dirmi il vero, or che tu vivi, tu non vedi la vita; e pure è teco.
CALANDRO. Tu m'hai risposto tanto a proposito quanto voglio. Ma lassiamo ire. Donque l'ascolta volentieri, eh? FESSENIO. Come «ascolta»? Io l'ho giá acconcia in modo che fra poche ore tu arai lo attento tuo. Vuoi altro? CALANDRO. Fessenio mio, buon per te. FESSENIO. Cosí spero. CALANDRO. Certo. Fessenio, aiutami; ch'io sto male. FESSENIO. Oimè, padrone! Hai la febbre? Mostra. CALANDRO. No. Oh! oh!
CALANDRO. Vuo' tu, per veder se io so ben far, ch'i' provi un poco? FESSENIO. Ah! ah! Non sará male; ma guarda a farlo bene. CALANDRO. Tu 'l vedrai. Or guarda. Eccomi. FESSENIO. Torci la bocca. Piú ancora; torci bene; per l'altro verso; piú basso. Oh! oh! Or muori a posta tua. Oh! Bene. Che cosa è a far con savi! Chi aría mai imparato a morir sí bene come ha fatto questo valente omo?
Ognun si fugge per paura. O Sofilla! facchino! O Sofilla! facchino! Sí! Va', giungeli tu! El diavol non gli faria voltare in qua. Va', poi, impacciati con pazzi, tu! Va'! CALANDRO. Ah poltron Fessenio! Mi volevi annegare, eh? FESSENIO. Eimè! Eh! padron, perché mi vuo' battere? CALANDRO. Domandi perché, tristo, ah? FESSENIO. Sí. Perché? CALANDRO. Il meriti, sciagurato ribaldo!
FESSENIO. Costei sta come pò; e, per Dio, ormai è d'aver compassione di lei. Fia bene che Lidio oggi, da donna vestito, come suole, venga da lei. E cosí fará perché non meno lo desidera che costei. Ma far prima bisogna la cosa di Calandro. Ed eccolo che giá torna. Dirogli avere ultimato il fatto suo. FESSENIO servo, CALANDRO. FESSENIO. Salve, padron, che ben salvo sei da che la salute ti porto.
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