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Ma ciò posto ed eccettuato francamente, ed eccettuate forse alcune vendette personali terribilmente fatte con sue parole immortali, Dante e il poema suo restan pure l'uomo e il libro incontrastabilmente piú virili ed austeri della nostra letteratura: virile l'uomo, nel saper sopportare le pubbliche, le segrete miserie dell'esiglio, nel non saper sopportare le insolenti protezioni delle corti le insolentissime grazie di sua cittá, nel sapere dalla vita attiva, che pur anteponeva ma gli era negata, passare alacre alla letteraria e farvisi grande: virile poi ed austero il poema in amore, in costumi, in politica, in istile, e per quella stessa accumulazione di pensieri che fa del leggerlo una fatica, ma la piú virile, la piú sana fra le esercitazioni somministrate dalle lettere nazionali ai molli animi italiani.

"Due però (scrive il Manzoni) erano i libri che Don Ferrante anteponeva a tutti e di gran lunga in questa materia; due che, fino a un certo tempo, fu solito di chiamare i primi, senza mai potersi risolvere a qual de' due convenisse unicamente quel grado: l'uno, il Principe e i Discorsi del celebre Segretario fiorentino; mariuolo , diceva Don Ferrante, ma profondo: l'altro la Ragion di Stato del non men celebre Giovanni Botero; galantuomo , diceva pure, ma acuto." Il Manzoni dovea pensare ne' suoi studii storici un po' come il suo Don Ferrante: "Ma cos'è mai la storia senza la politica? Una guida che cammina, cammina, con nessuno dietro che impari la strada, e, per conseguenza, butta via i suoi passi; come la politica senza la storia è uno che cammina senza guida." L'Autore entra spesso in iscena anche come attore. Così dopo aver fatto una descrizione, forse un po' troppo minuta della biblioteca di Don Ferrante, soggiunge: "Noi cominciamo a dubitare se veramente il lettore abbia una gran voglia di andar avanti con lui in questa rassegna, anzi a tornerò di non aver gi