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«Ma intanto soffro in due maniere: e per quel che mi hanno fatto e per quel che non so fare. Qualche volta mi pare che la fede vacilli e provo oscuri sgomenti come chi si trovasse perduto sopra altissime creste, dove è tanto pericoloso il muoversi come il rimanere. Procuro di attaccarmi più che posso agli arbusti della vita e di leggere nelle coscienze di quest'umile gente che lavora e prega, il segreto della pace. Sono stata alle Regate, ho accettato un invito al Pioppino, e domani mi lascierò condurre da Regina all'alpe di Giosuè, dove si accenderanno i falò per la festa della Madonna. Quanto ti desidero, qui, mia cara Elisa! come sapresti consigliarmi e consolarmi colle parole che escono dall'esperienza di una vita così ricca e così cauta come la tua! Qui non ho nessuno con cui discorrere e dissipare, queste tristezze. La mamma, poverina, non vede che un bene e verso questo bene mi sospinge senza che io me ne accorga. Regina è spirito troppo semplice per intendere un problema complicato, fatto met

Poeta fu, nel più profondo dell'anima. Di poeta ebbe per usar le parole d'un suo illustre avversario il soffio, l'essenza alata, l'anima lirica. Non cercò nuove forme: fece sue quelle della poesia patriottica che palpitava in tutti i cuori quand'egli s'affacciò alia vita, le forme del Rossetti, del Berchet, del Manzoni. Dice egli stesso all'autore della «battaglia di Maclodio»: «quest'umile cetra apprese le forme da te, e il mio canto modula alla tua scuola gli accenti d'una speranza che non è più la tua». L'impeto della passione soverchiante non gli poteva consentire le sottili e pazienti industrie di stile e d'armonia, che più tardi vennero in onore. La sua poesia fu propriamente un canto sgorgante dall'anima, poesia di battaglia, piena strepito d'armi, di schianti di fulmine, di fremiti di popolo, di grida d'ira e di dolore. La successione delle sue strofe di decasillabi somiglia all'incalzarsi di manipoli di combattenti che corrono all'assalto; nelle quali le rime sono punte di spada e i tronchi finali urr

Durante questo tempo, i francesi hanno iniziato per la letteratura italiana contemporanea quel che facevano da un pezzo per altre letterature straniere. Si sono degnati di accorgersi che c'è un po' di buono anche tra noi. Un accademico, che aveva prima scoperto i romanzieri russi, scopriva Gabriele D'Annunzio e lo presentava all'ammirazione del mondo intero, giacchè quando Parigi ammira, per la sua naturale funzione di cervello del mondo, induce tutte le nazioni civili a sentire e pensare come lui. Rivolti, così per caso, gli occhi a quest'umile Italia, meravigliati che avevamo anche noi parecchi poeti, parecchi romanzieri degni della loro curiosit