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Aggiornato: 21 maggio 2025


Taccion del rimanente le pratiche con l'imperator di Costantinopoli e coi baroni siciliani, da altri storici meno autorevoli composte come in azione drammatica. Giovanni di Procida, al dir di costoro, esule volontario per la supposta ingiuria atroce, n'è protagonista; rassomiglian ombre gli altri personaggi, che la istoria figura ben altrimenti: Pier d'Aragona, Michele Paleologo, Niccolò III, Alaimo da Lentini, e più altri nobili uomini di Sicilia. Non pensan, non osan essi senza Procida: al sol vederlo ogni fiata rompono in lagrime come fanciulli; ei solo, sospinto da amor di patria e desio di vendetta, va, torna, muta sembianti, ignoto ha credenza da' grandi; ei solo disegna, comincia, e fornisce l'impresa. Ignorando che Giovanni fosse esule dal sessantotto o sessantanove, come il mostrano i diplomi, e fatto uom di re Pietro, favoleggian costoro che venutogli in mente il disegno di tor la Sicilia a re Carlo, da solo cominciava a trattarlo con principi di fuori, e congiurati in casa. A Costantinopoli si portò l'anno settantanove, com'uscito che cercasse in quella corte asilo e stipendio; spacciandosi medico, ed uom di stato, delle cose di Sicilia espertissimo. Trovò piana la via appo il greco imperadore, che quegli in segreto luogo sopra una torre venne ad abboccamento con esso: e quivi Procida il tentò con favellar degli armamenti di Carlo a' danni suoi; a lui perduto d'animo e piangente fe' balenare innanzi agli occhi una speranza. Onde Michele, che l'imperio vedea sossopra, e Carlo intento e minaccioso a mala pena trattenuto da papa Niccolò, avidamente abbracciava il partito di turbargli i reami; e profferia centomila once d'oro: fermata l'impresa, le porgerebbe. Si infinse allor Procida scacciato dalla bizantina corte. Vestiti i panni di frate minore, furtivo in Sicilia entrò, che per esser più oppressa, o più disposta per le citt

Avrebbe voluto scacciar dal suo cuore l'immagine di Lucilla, e non gli riusciva. La trovava frivola e calcolatrice ad un tempo, priva di quella sacra fiamma di poesia senza della quale par fredda ogni virtù femminile; ma la trovava anche più bella e più seducente di quando l'aveva lasciata. Le sue parole lo disgustavano spesso, ma a un suo sguardo, a un suo sorriso, al tocco della sua mano, egli sentiva il sangue affluirgli al cervello e turbargli i sensi e lo spirito. Non era così che l'aveva amata una volta, non era così che avrebbe voluto amarla; eppure l'amava così. Vissuto come un anacoreta nella solitudine di Valduria, si risvegliavano adesso nel suo corpo giovine e gagliardo i desiderî tempestosi dell'et

Chi l'aveva rimessa in quel luogo? Lucertolo, che facilmente era potuto entrare nella soffitta, che il Tittoli aveva voluto abitar sempre, dopo la morte di sua madre. Lucertolo, sbigottito dalla apparizione, e che non voleva più rivedere gli spettri, i fantasmi; che non voleva più che venissero a turbargli i sonni.

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