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Aggiornato: 5 giugno 2025
La tenga per la sua futura sposa.... La mia futura? esclama il pellicciaio col volto atteggiato a stupore per la frase malaccorta. Non ci arrivo più, signor conte.... E con un sospiro che ha del rammarico, finisce: Sono ammogliato da quattro anni....
Alla lesta, ripeto, si tenga pronto, io torno in dieci minuti con una lettiga... «Ma... no... disse il barone pigliando la mano di lui per rattenerlo; sono venuto a cavallo sin qua.... ma se mi concedesse di guarirmi in casa a questo buon prete..... «Storie! Non parliamone più....»
E io?... Io? Tenga! Ecco il suo premio!... Ma, no! Basta!... Ma, no! Potevo appagarmi di un bacio solo? Ella si difendeva tentando di respingermi con le braccia, tirando indietro la testa, protestando: Basta! Non più!
Ecco: io, per parte mia, credo poco o punto al valore pratico della Funzione sociale dell'arte come oggi s'intende; mi sembra che nel porre questo problema si giuochi d'equivoco; e non si tenga, nel risolverlo, nessun conto delle mutate condizioni dello spirito umano.
Signore Iddio! sospirò la virago. E con la punta del medio si toccò a più riprese in mezzo al petto enorme e molle, ondeggiante a ogni suo più piccolo moto. Qui, capisce? Scendevo le scale, scusandomi. Il donnone mi gridava dietro: Sa, badi: si tenga a sinistra! E non dubiti: penso io a mandarle oggi la baronessa. E mille rispetti! E ci venga a trovare!
Sì, lui, non è a farne alcuna maraviglia; ma, a proposito di lui appunto, io che, sotto al dolore onde necessariamente egli era compreso pel fatto della duchessa, ho letto altri affetti ed altri pensieri, lo esortai, giacchè il tempo incalzava, a lasciar da un lato talune convenienze, e prima che vengano altre procelle, che Dio tenga lontano, far quello che mai s'è potuto fare.
Zitto, zitto per amor del cielo: susurrava Agapito, tentando farsi piccino piccino e rinsaccando il capo fra le spalle: si calmi, non facciamo scandali, non facciamo scene... Ne voglio far io: gridava più forte la moglie del pittore. E non so chi mi tenga dal chiamar tutti i casigliani fuori, e contar loro le sue belle prodezze.
Non mi batter piú la porta. Debbi essere ubbriaco. TIMARO. Apri qui, fiera! Ti taglierò un'orecchia. PILASTRINO. Questa volta, voglio che tenga di mula di medico cosí come sei bravo. TIMARO. Quello è desso; è Pilastrin. Parti che ha scelto l'ora di andare al letto? Mi bisogna averlo con le buone. Odi, o Pilastrin: ti prego; fatti fuori. PILASTRINO. Tu m'hai rotto la testa. TIMARO. Ascoltami.
E cavò dalla busta le sue pistole. Sono di misura eguale alle mie; notò il Dutolet. Tenga ognuno le sue. Così dicendo, prese posizione di combattimento. Il signor di Vaussana lo imitò. A voi; diss'egli. A voi; rispose quell'altro. Capisco; disse allora Maurizio. Si gareggia di cortesia. Spariamo al comando, vi pare? Conteremo uno, due, all'unisono; al tre faremo fuoco.
Io non so chi mi tenga.... Vada fuori, vada fuori subito da questo luogo se non vuol ch'io faccia uno sproposito... fuori, fuori... Così dicendo, rovesciando una sedia, quasi per salvar sè stesso dal commetterlo davvero, uscì dalla sala maledicendo gli usurai, il pupillo, le cambiali e un poco anche il proprio carattere tanto opposto alla sua professione.
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