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Aggiornato: 9 maggio 2025
L'ordine che si dovrá tenere in correggere o tassare le monete giá fatte.
Tassa delle suddette sei sorti di monete, in essempio del modo che si averebbe a tenere nel tassare tutte le altre giá fatte. Con questi essempi si mostra il modo e l'ordine di valutare o tassare tutte le monete sinora fatte, tanto dei suddetti pesi e leghe quanto d'altri e d'altre.
E' quai valori cosí proposti non dovranno mai piú, per cagione alcuna, esser mossi ed alterati da questa terminata forma e regola, per le ragioni annotate in molti luoghi del Discorso, ed in particolare nel capitolo XXIX, se si vorrá ch'essi preciosi metalli possano, com'ho detto, esser giustamente compartiti da tutti li zechieri e contisti di zeche ed altri con i debiti mezi, cioè saggi, bilance e conti loro, nel far monete di varie sorti; essendo detti numeri e valori con ogni perfezione a ciò veramente proporzionati, come si mostra nel capitolo XXXIII; col mezo de' quali da essi contisti non si faranno mai intervenire rotti alcuni nelle leghe di esse monete, e nel tassare anco tutte le monete finora fatte dovranno servare l'ordine istesso, come nel capitolo XIV. Onde ne succederá che tutti li conti, che poi si faranno tra essi oro ed argento, tanto i giá coniati quanto quelli che per l'avenire saranno in monete ridotti, si troveranno per sempre confronti e giusti, per causa del puro e del fino che si troverá essere proporzionato, cosí in qualunque sorte di monete come anco in ciascuna di esse monete.
Manifestamente si conosce che col mezo di questi ordini saranno corretti infiniti errori e disordini pertinenti tanto al tempo passato quanto al presente ed al futuro ancora, sí per rispetto del tassare le monete giá fatte, come nel conteggiare a fino; imperoché, avutasi considerazione alla quantitá e proporzione del puro e del fino ch'era nelle monete quando fu creato il debito, si dovrá pagare con tant'altre monete, che in esse vi sia tant'altro di puro e di fino, e non altrimenti.
E perché nel capitolo XXXIV ho detto ch'io farei menzione in questo d'alcuni rotti taciuti nel tassare le dette sei sorti di monete in esso figurate, i quali restano nelle fatture di quelle compresi, e che non si possono giustamente dividere a moneta per moneta; ora, per mostrare quanto argento sopravanza a libra per libra ed in ciascuna sorte di dette monete, ed anco in tutta somma per conto di detti rotti, ho fatto la seguente tavola, accioché i contisti ed altri possano conoscere esser cosa necessaria che vi sia un sol ordine ed una forma reale in generale per le monete, accioché, cosí le giá fatte da esser tassate, come quelle che si faranno, tutte restino per sempre nel loro giusto essere e real valore.
E quando si trovassero simili monete esser cosí usate in qualche paese, e che si volessero tassare in ragion di lire 6 imperiali l'oncia del fino che in esse fosse, venirebbono tassate esser di giusto valore, secondo la real tassa, di soldi cinque l'una e senza rotto alcuno; e tal valore cosí sarebbe casualmente, e non altrimenti.
VII. L'osservar un sol ordine tanto nel tassare quanto nel far le monete e d'oro e d'argento, dal qual ne succederá che i danari resteranno per sempre regolati. Avvertimenti a' prencipi dell'onore ed utile, che tanto a loro come ai loro popoli ne seguirá, s'essequir faranno le presenti cose.
E cosí le dette monete 180, a soldi cinque l'una, fanno la somma di lire 45 ss. den. E quando si trovassero simili monete usarsi in luoghi alcuni, e che si volessero tassare in ragion delle dette lire 6 l'oncia del fino che in esse fosse, venirebbono tassate essere di giusto valore di soldi 4 denari 9-1/3 l'una, e non si dovrebbe poi mai nominare il detto rotto, cioè 1/3.
Ora, discorrendo sopra le tasse particolari delle monete, dico che, se si volessero tassare alcune sorti di monete d'argento e poi lasciare le altre nei loro correnti valori, tal tassa riuscirebbe molto disuguale; e ciò per le disproporzioni che sono tra le monete giá fatte, cioè da una sorte all'altra, avendo però riguardo alla quantitá in peso del loro fino, il quale non si troverebbe proporzionalmente corrispondere in esse monete, per cagione delle loro fatture, che sono comprese nei valori alle monete dati.
E se anco si trovassero in qualche provincia o luoghi spendersi simili monete, e che si volessero tassare in ragion di lire 6 imperiali l'oncia del fino che in esse fosse, venirebbono tassate esser di giusto valore di soldi 4 denari 6-42/47 l'una, e non si dovrebbe mai piú nominare il detto rotto, cioè 42/47.
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