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Aggiornato: 21 giugno 2025


Sennacheribbo abbracciò la madre, piangendo e giubilando; rifiutò i quattrini; corse ad arrolarsi; e partì la sera stessa pel campo. Mandò una prima lettera, che la povera donna rilesse cento volte; e poi, affaticato dalla istruzione prima, e quindi dal servizio, smise di scrivere, non riflettendo ai palpiti, che doveva provar la sua benefattrice. Succedettero scaramucce e fatti d'armi, ai quali prese parte, e finalmente una battaglia campale sanguinosissima, dove rimasero molte e molte migliaia di combattenti, ma che fu vinta dagli Scaricabarilesi. Parecchie vicine della madre adottiva di Sennacheribbo, le quali avevano figliuoli o mariti o fratelli sotto le armi, avevano ricevute le nuove de' loro ed erano uscite d'ambascia: ella sola non sapeva nulla del suo diletto, se fosse superstite o soggiaciuto. Il Generalissimo spedì, per presentare a Re Zuccone le bandiere conquistate sul nemico, una deputazione, il cui ingresso in Iscaricabarilopoli fu una vera festa nazionale. Tutta la popolazione le corse incontro per vedere que' trofei; per consolarsi, con la vista di quei trofei, de' lutti e del sangue, che costavano. Ma la povera mamma di Sennacheribbo, dubbia ancora del fato del figliuolo, stimando pure di non potere se non augurar male di un silenzio troppo protratto, stette tappata in casa, piangendo e disperandosi, e quasi imprecando alla gioia universale che esacerbava le sue lagrime. Cominciava ad annottare, quand'ecco sente bussare indiavolatamente all'uscio. «Chi sar

Sennacheribbo, cui non dispiacque di esser salvo per opera di quella donna, al quale le Camere decretarono il titolo di Vindice; ma che il popolo soprannominò Mastr'Impicca e nella storia è noto più col secondo, che col primo epiteto, sposò la Rosmunda.

«Va, Sennacheribbodisse Maest

La fata era donna: Sennacheribbo le apponeva carne di lodola; n'era ghiotta, come tutte, e sorrise compiaciuta: «Ma chi ti ha data la legaccia?». «L'ho rinvenuta qui per le terre» disse il giovane, e le narrò ogni cosa: la caccia; il ratto della Rosmunda; e l'intenzione sua di racquistarla o morire.

Calmato alquanto il subbuglio, il tumulto, la perturbazione che seguì la partita della fata e della Rosmunda, il Commissario governativo alzatosi in piedi ed impetrata la parola dal Presidente, dichiarò di ritirar l'accusa contro Sennacheribbo: «Dal momento che ci abbiamo un ordine verbale di Sua Maest

«Chiamata? io? come? quando? e perchè avrei dovuto chiamarla, se da poi ch'io l'ho data a balia, non l'ho più vista? se ignoro persino il suo riverito nomereplicò Sennacheribbo, impermalito un po' di quel tu famigliare. «O non ti sei tu cinto quel legaccio intorno al polso sinistro e non l'hai baciato?».

Dopo l'orazione stupenda del Commissario regio, si procedette allo interrogatorio dell'imputato. Sennacheribbo raccontò le cose molto semplicemente, tacendo solo del modo in cui gli era apparsa la fata, non parendogli opportuno divulgare il secreto del legacciolo, ch'egli immaginava la Rosmunda desiderare che rimanesse occulto.

Lui, Sennacheribbo, inferraiolato anche lui, si sdraiò anche lui per le terre in disparte ed avrebbe voluto sonnecchiare e ristorarsi: ma che? Non gli riusciva di chiuder occhio. Il sangue bollente gli scorreva impetuosamente nelle vene, come metallo fuso ne' canaletti, pe' quali si dirama nel gettarsi una statua. Le arterie delle tempie gli pulsavano audibilmente al pensiero, che donna Rosmunda, per iniquo tradimento, trovavasi in balìa, in potest

Frattanto io corro a sbrigare ed aggiustare un certo conto coi rapitori; e bramerei non aver impicci di donne qua presenti». «Non temere; la ragazza rimane nella mia custodia. Bravo Sennacheribbo, corri pure a far quel che occorre. Penserò io a rintegrar la Rosmunda nel dominio paterno.

Povero Sennacheribbo, udendo così spiattellare coram populo ciò, che egli si apponeva a delitto ed avrebbe voluto nascondere a stesso e stimava ignorarsi da tutti, si fece scarlatto e chinò il capo come un reo convinto, si coprì la faccia con le palme ed avrebbe voluto essere a cento palmi sotterra.

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