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Narrò il sopraggiungere del capitano Sennacheribbo e lo incantesimo del legacciolo donatole dalla santola, la quale era fata.

Ella slacciava il legacciolo donato dalla fata Scarabocchiona, se ne cingeva il polso sinistro, il baciava... e subito, immantinente, la terra veniva scossa come da un tremuoto, s'udiva come un rombo d'un tuono, ed appariva quella bellissima donna, tutta velluti e trine e gemme, la quale diffondeva intorno una luce vivida tanto da rischiarare splendidamente la stanza e da fare impallidire qualunque lume artificiale o naturale. La Rosmunda si buttava in braccia alla santola, e si querelava e rammaricava. Quella buona fata ad abbonirla, a confortarla: «Abbi fiducia! spera! Ti par egli, ch'io ti possa aver porto un consiglio insidioso? che la tua comare ti voglia ingannevolmente precipitare, affogare? Ti par egli? Sta pur certa, che avrai uno sposo degno, un marito stimabile, un consorte conveniente, un coniuge quale il desideri. Ma sai, che dovrei offendermi della tua diffidenza?». E proseguiva a garrir così per un pezzo. E la figlioccia si rassicurava al quanto ancor essa. Ma poi, ripartita, rivolata via, riscomparsa la madrina, la Rosmunda ricascava nelle perplessit

Dopo l'orazione stupenda del Commissario regio, si procedette allo interrogatorio dell'imputato. Sennacheribbo raccontò le cose molto semplicemente, tacendo solo del modo in cui gli era apparsa la fata, non parendogli opportuno divulgare il secreto del legacciolo, ch'egli immaginava la Rosmunda desiderare che rimanesse occulto.