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Aggiornato: 1 giugno 2025


Occupa il colmo, e tra le penne ascosa Siede sirena a riguardar tranquilla; D'ambo i lati sul mar sorge spumosa Fra mostri latrator Cariddi, e Scilla; E l'aspre belve, e più la piaggia ondosa Lunge di gemme e di tesor sfavilla, E vibra intorno rai tra vampe accese Di perle e di diamanti, altiero arnese. */ /*

Interrogatili sulle forze borboniche da Reggio a Scilla: Quattordicimila uomini, disse il vecchio. E voi? Il nostro nome è legione! Frattanto mi venne udita una vivissima moschetteria e poco dopo un colpo di cannone dal forte. Ordinato al cocchiere d'andarsene, augurai la buona notte ai viaggiatori, trattenendo le due guide.

Toccati i dorsi che dividono i versanti di Scilla da quelli di Bagnara, vi collocammo i trecento calabresi affidandoli a Francesco Curzio, l'uffiziale-poeta dello stato maggiore. Essi ci proteggevano il fianco sinistro.

Poi con favella ansiosa soggiunsero: Badate, signor capitano, che a un quarto d'ora di qui oltrepassammo un battaglione di regii, diretto a Scilla per rilevare i presidî dei forti. Spedii immediatamente il sottotenente Perelli¹ ad avvertirne il comandante. ¹ Questo valoroso pavese è stato ferito al petto nel combattimento del 21 luglio 1866 a Bezzecca.

Valore inutile, del resto, poichè i due scampati cadevano di Scilla in Cariddi! Andiamo via, non ci lasciamo impietosire. Dicono che bisogna punire le colpe degli uni fino alla quarta generazione, e trovar commendevoli i furori, sublime la libidine di sangue degli altri.

Stromboli, faro del Faro colle sue eruzioni eterne, visibile alla distanza di sessanta miglia, che stupisce d'ammirazione, di rispetto e di gratitudine il navigante battuto dalle tempeste, e che può alla sua vista cercar con sicurezza un rifugio, fuggendo alle terribili divoranti scogliere di Scilla.

Il generale, il capitano, l'aiutante fissano più che mai gli occhi sulla tela, come assistessero a un esperimento chimico. La tela si muove appena. Allora, Napoleone I, con accento olimpico, grida: Da due soldi! E subito, il mare si leva in burrasca tremenda, come non se ne vide mai tra Scilla e Cariddi.

Eccone uno, il primo, che s’infiora del sorriso d’una nobil donna a tutti nota: LA MARCHESA DELLA CERDA MENTRE DIVOTAMENTE LA RIVERISCE SI L’ONORE DI SIGNIFICARLE IL GIÀ CONCHIUSO MATRIMONIO DI D. GIUSEPPE DI SANTO STEFANO MARCHESE DELLA CERDA SUO FIGLIO CON D. GERTRUDE RUFFO ZIA DEL PRINCIPE DI SCILLA E CON PIENO OSSEQUIO SE LE RASSEGNA.

Sopravvenuta una vettura a tre cavalli, ne feci scendere i passeggieri ingombri d'improvviso stupore, non forse dalla presenza di gente armata, sibbene dal non paesano accento. Donde venite? Da Reggio e andiamo a Scilla. Siamo calabresi. Tranquillatevi. Non vi vogliamo alcun male. Ma per ora dovete sostare. Signore, viaggiamo per negozi privati. A voi Calabresi saranno famigliari questi monti.

Non sorrise egli, perchè grave pensiero l'occupava in quel punto, ma l'ala dell'ironia gli sfiorò, passando, le gote. Quivi un episodio alla marina richiamò l'universale attenzione. La Borbona, pirofregata regia di 50 cannoni, transitava fra Scilla e Cariddi. La nostra artiglieria da campo, in batteria alla spiaggia del Faro, osò attaccarla.

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