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In questa brutta serata di marzo, come sonarono le sette all'orologio di piazza Dante, tanto debolmente che appena lui potette seguirne i rintocchi, Manlio si decise ad uscire. Dopo aver leggiucchiate le prime pagine di un romanzo nuovo, di cui si era annoiato a morte, fra le cinque e le sei di sera s'era buttato sul letto, volendo gustare, per la prima volta dopo un mese, la volutt

Hai sognato? egli domandò, con una voce strana. No: non sogno mai. E tu? Non ho dormito, io. Allora, tu mi ami di più. Che vergogna per me! E rise, di un bel riso sonoro. Egli non potette neppure sorridere. Ella chiese: Che hai? Ma nello stesso tempo, ancora, pose infantilmente la sua guancia presso quella di Paolo: questa volta, egli si rigettò indietro.

No, no replicò Massimo, recisamente. Ella lo guardò, così triste, che egli non potette celare un moto di dispetto. Ma Luisa! Ma che siete una sensitiva? State ridendo, il che è una cosa graziosa per tutti, graziosissima per me, e basta guardarvi perchè la risata vi si spenga sulle labbra! Sorridete, e basta che vi si dica una parola perchè sparisca il vostro sorriso! Figliuola mia!

Alice potette osservarlo, poichè era vicina a loro e potea sbirciare sulle lavagne; "ma non importa niente," pensò fra . Allora il Re, che era stato occupatissimo a scrivere sul suo taccuino, gridò "Silenzio!" e lesse dal suo libriccino "Regola quarantaduesima. Ogni persona, la cui altezza supera il miglio, deve uscire dal Tribunale." Ognuno riguardò Alice.