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Aggiornato: 28 giugno 2025
Don Alessio fece accendere i lumi, fece preparare il tavolino, e la partita cominciò. Danaro. Prendo con una donna. Bastoni. Spade.... Ma il reverendo giocava molto distratto. Egli non solo perdette quella partita ma cinque o sei altre in fila: sicchè don Alessio non ci capiva proprio nella pelle a cagione di quel fortunato accidente non mai successo dacchè giocavano; e si rifaceva motteggiandolo.
Le somme perdute andavan pagate a qualunque costo, perciocchè non esistendo un articolo di legge che costringesse a quel pagamento, e dovendo starsi alla parola di chi giocava; questi, naturalmente, voleva fare onore al suo nome ed alla sua parola, detta o scritta.
Soltanto gli occhi erano belli, grandi e neri, con le sopracciglia lunghe. In quel momento giocava con un vecchio fazzoletto scuro rivoltandolo ed annodandolo per farne un topo. Chi è venuto da te ieri sera? Nessuno, rispose Tina sorridendo.
L'unica sua paura era che l'amministrazione se ne accorgesse. Ora giocava con puntate doppie. ... Pochi giorni dopo scrisse che nel sistema c'era un difetto. Ma poco importava. Aveva scoperto un sistema nuovo, molto migliore dell'altro. L'aveva comperato per cento franchi da un individuo che era stato espulso dal Casino, perchè l'amministrazione aveva paura di lui e del suo sistema.
Sul prato verde e pieno di gente, gli attrezzi della ginnastica e l'altalena erano presi d'assalto; poi si giocava alla palla, al volano, ai cerchi; in mezzo ad un boschetto ombroso c'era un casotto di burattini, che al momento in cui s'incominciò la rappresentazione raccolse intorno a sè tutta quella schiera di bimbi.
Fin dal primo momento adunque che gli era balenato il pensiero in mente di stornare le nozze del Baglione colla Ginevra, parendo a lui che questo fatto assumesse un'importanza più grave di quella che altri potesse mai credere, sempre aveva pensato al modo di collocare le pedine sulla tavola reale, senza che apparisse che la mano che giocava fosse la sua.
Sputava senza levarsi la pipa o il sigaro di bocca, facendo schizzar la saliva; camminava dondolandosi sulla vita dalla più buffa maniera; giocava; amava il vino; amava le donne; arraffava, quando poteva; cacciava fuori il coltello a ogni piccolo diverbio, e certe volte non per burla. Non era un santo, come si vede.
Guardava molto fissamente, pensando certo a tutt'altro, un fiore del tappeto, mentre una mano giocava con un gioiello, che le pendeva dal collo, e l'altra faceva girare macchinalmente tra le dita di neve un piccolo parafuoco chinese.
La più completa assenza di nozioni strategiche si poteva chiaramente osservare in quelle sale dove si dormiva di giorno e dove molte volte si giocava di notte: cosa quest'ultima che fece esclamare ad uno dei nostri amici assai noto per le freddure, che stato maggiore più solerte del nostro era inpossibile ritrovare, avendo i suoi membri ad ogni ora in mano le carte.
Strettissime e oscure vie fra case ammonticchiate e soffocantesi a vicenda, o piuttosto che vie, letti di torrenti montani: ecco Aspra. Era domenica. Il popolo di Aspra, vestito di giacchette grigio-azzurre, secondo il costume sabino, giocava a palla dinanzi alle case. Tutti mi guardarono con grande stupore. Mi feci condurre al Municipio, dove giunsi dopo un faticoso saliscendi.
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