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Nei libri seguenti che costituiscono l'ultima parte delle Storie, il disordine della composizione e il cortigiano riserbo in faccia all'opera dei Medici degenerano in menzogna. Dopo aver accennato col solito disprezzo alle due scuole braccesca e sforzesca, che allora dividevano le guerre italiane sotto gli ordini dei due più grandi capitani del secolo, Francesco Sforza e Niccolò Piccinino, ed avere assai malamente raccontate le loro imprese nello Stato della chiesa, viene al ritorno trionfale di Cosimo e vi si imbroglia descrivendone le circostanze. Il suo odio democratico trapela dalla sua prudenza di letterato cortigiano, mentre la passione dell'analisi politica gli viene soffocata dalla paura di uomo povero alla mercede dell'ultimo papa dei Medici. Poi divaga in altre guerre italiane. Valendosi dei Commentari di Neri Capponi, descrive il gran torneo militare fra Niccolò Piccinino al soldo del duca di Milano e Francesco Sforza generale della Lega, e neppure qui l'odio ai capitani di ventura abbandona il romanziere di Castruccio Castracani, che non s'accorge d'avere davanti due soldati, ai quali solo i migliori dell'antichit

Questi fingendo osservare il patto propone a Benedetto la mutua risegna, e Benedetto a lui. Carlo imperatore per istringere la cosa invita i due emuli a deporre l'ufficio al cospetto del proprio collegio di Cardinali: ambedue girano nel manico e chiedono una conferenza in seno alla quale ognuno di loro renunzierebbe: per luogo di posta da entrambe le parti si accetta Savona; ferma e stabilita ogni cosa, le case, le guardie, le scambievoli malleverie, le galere, il tempo; di tutto questo corre l'annunzio ai principi: pareva che quei due vecchi preti altro non avessero a fare, che stendere la mano per toccarsela, e i due vecchi preti non mai furono come allora alieni di trovarsi insieme. I Veneziani indettati rifiutano le galere a Gregorio; di ciò movendosi querimonia grande a Roma, a Gregorio tocca uscirne, ma si ferma a Siena, e di qui ripiglia ad annaspare. Benedetto tastato il terreno, e sicuro ormai non si verrebbe a niente, più audace avanza, va a Porto Venere, va alla Spezia, e qui sosta. Gregorio preso pel collo da Siena si reca a Lucca, ma qui mette le barbe; ci fu verso di staccare il primo dalle marine, il secondo dalla terra ferma; «se uno muove un passo innanzi, scrive Lionardo Bruni nei Commentari, l'altro lo d

In sei anni di corso si studiava infatti nel Collegio la grammatica usando i libri di Fedro, i Commentari di Giulio Cesare e le Vite degli uomini illustri di Plutarco, il latino, il francese, le matematiche pure, tanto teoricamente che in pratica ed infine le matematiche miste, «quali sono adatte al matematico ed al fisico, abbracciando perciò la meccanica, la balistica, l'idrostatica, l'idraulica, l'ottica, la perspettiva, l'astronomia, l'architettura civile e militare, la nautica e la geografia» .

In una biblioteca, alcuni volumi rovesciati, collocati di traverso con dei segnuoli di carta, dei libri di teologia, poi la Storia della Chiesa di Fleury, il Codice del Regno, i Commentari sul Codice, di Tullier, le opere di S. Alfonso di Liguori, l'Orlando Innamorato di Berni, La Scienza e la Fede, giornale dei gesuiti, un volume di Walter Scott.... Dei fasci di carta occupavano le poche sedie del gabinetto; dei fascicoli in carta bollata, dei pezzi di minerali ferro, marmo, rame giacevano in ogni angolo.

In un momento si raccolsero cinquemila scudi d'oro, e si pose tosto mano alla costruzione del ponte. Tale è la meravigliosa leggenda relativa all'antico ponte di Avignone, ed io non voglio toglierle il suo carattere poetico, coll'aggiungervi dei commentarî.

Per quanto i Papi si sieno industriati fare, hanno ricavato se non poco, però sempre meno di quello, che speravano dai popoli soggetti: e quante volte vi hanno avuto ricorso adoperarono in modo da tenerseli bene edificati. L'Albergato nei commentari dei suoi tempi nota: «come la Chiesa da Terracina a Piacenza possieda bella, e magna parte d'Italia; e tuttavia tanti popoli opulentissimi, tante citt

Lo scacco subito, i commentari ingiuriosi che ne seguirono e circolarono, ferirono al vivo il principe di Lavandall. Visse a Roma un anno, senza vedere un'anima, tranne papa Gregorio XVI che era un maiale e che lo ricevè una volta ed andò a visitarlo due, nella di lui villa vicino Albano. Il papa vi pranzò anzi, perchè Gregorio amava desinar bene, ed in casa Lavandall si faceva lauta mensa.