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Aggiornato: 24 giugno 2025
Fra tutti i pari suoi Mastro Spaghi emergeva nell'arte del capestro. La gran pratica è vero l'avea reso il più destro In tal ramo di scienza; ma il suo merito c'era. Fabbricava lacciuoli in siffatta maniera Che gli altri d'imitarlo avean tentato invano!
PANURGO. M'hai servito da vero e meriti la mancia! TOFANO. Mi volete dar la mancia che m'avete promesso, se vi avessi...? PANURGO. Meritaresti un capestro che t'appiccasse, come non ti mancherá! TOFANO. Vi ringrazio della mancia e della buona volontá. PANURGO. La volontá è conforme al tuo merito. TOFANO. Vi lascio. PANURGO. Vattene col diavolo!
«Certamente: il capestro in questa vita, e la eterna dannazione nell'altra.... Ma, se io non m'inganno, voi dubitate della mia fede pur sempre, Rogiero; ed io vi dico, che nessuno scopo mi stringe a far sì che voi mi seguiate; che la mia commissione finisce con l'ambasciata che vi ho riportato; che voi siete signore di rimanervi, perchè non ho, nè voglio impiegare, i mezzi da costringervi.»
LECCARDO. Io ho avuto tanta paura d'esser appiccato che la gola si è chiusa da se stessa senza capestro, e mi ha data la stretta piú de mille volte e senza morir mi ha fatto patir mille morti; e ancora che io abbi avuto grazia della vita, per ciò non sento allargar il cappio e sono appicato senza essere stato appiccato.
ne' sommo officio ne' ordini sacri guardo` in se', ne' in me quel capestro che solea fare i suoi cinti piu` macri. Ma come Costantin chiese Silvestro d'entro Siratti a guerir de la lebbre; cosi` mi chiese questi per maestro a guerir de la sua superba febbre: domandommi consiglio, e io tacetti perche' le sue parole parver ebbre.
Questo è degno piú d'ogni cosa e tanto dolce e amabile che mi fa tutto qui struggere in oglio. Or non mi meraviglio se quel vecchio tanto è vivuto piú che non deveva senza mangiare o ber; perché mi penso che si pascesse d'esta dolcitudine, come farebbe ognun. CRISAULO. Guarda che in te non facciano il contrario; che, anzi 'l tempo, non ti faccin morir con un capestro: ché sai ben che a la fin...
FORCA. Ecco le vesti, ecco le robbe toltemi! cosí, furfantaccio, s'entra nelle case di gentiluomini e si vuotano le casse? Su, strascinatelo in Vicaria. PANFAGO. O Dio, lasciatemi tor prima un bicchiero di vino, ché la gola mi sta tanto asciutta che non ne può uscir parola. FORCA. Te la stringerá il capestro, la gola. PANFAGO. O gola, mi farai morir appiccato per la gola.
Se l'avesse seguito di galoppo, assai non era al desiderio insano. Al fin dal capo le levò il capestro, e dietro la legò sopra il piè destro;
PANURGO. Sí, sí, vo' che mi porti una lettera a mio padre, che li bacio le mani e desio saper come stia. ESSANDRO. M'allonghi la vita! giá salo la scala e annodo il capestro al trave. PANURGO. Te terrò per i piedi, non ti farò salire. ESSANDRO. Scherzi con la morte non con me. Adesso mi butto. PANURGO. Non buttarti cosí presto. Ecco spezzato il capestro: perché non lo tentavi prima che adoperarlo?
Che colpa ci aveva lui dunque, se lo si era educato a quel modo? Chi gli aveva tolto il padre e la madre? Oh, era ben disgraziato, ecco! e a volere che la legge fosse giusta, bisognerebbe che l'istesso capestro stringesse il collo del delinquente, e quello di colui che l'ha tirato su per le forche!
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