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A Chiaravalle la torre che sovrasta alla cupola ottagona offre tutte le emozioni che voglio. Ecco, al tetto della chiesa, al primo riposo, si giunge coll'abito concio dalle ragnatele, col cappello schiacciato da qualche buio arco che non rispetta le proporzioni della figura umana, coll'occhio intenebrato e polveroso: travi, tegole e calcinacci sono amici, amiconi degli archeoflli curiosi. Al tetto c'è un ballatoio: e da questo una scala a piuoli al primo giro d'archi della torre; e da una colonnina di questo un'altra scala a un'altra colonnina del secondo giro, e via e via; ma sui piuoli tarlati il piede si poggia con precauzione, e gli staggi sono un po' zoppi. All'ultimo piano di colonnette si leva la piramide, e noi che le passeggiamo intorno, la vediamo tutta irta coi mattoni a spinapesce, qua e l

Ognuna di esse racchiudeva il monumento di qualche cospicua famiglia: dove giaceva il pesante avello, a due versanti, coi quattro orecchioni, o dove si levavano sulla groppa dei lioni le colonnine torte a reggere l'arche coi tabernacoletti gotici, ai nostri cresce la mal'erba, fra i tritumi e i calcinacci: le muraglie hanno le tracce dell'ugna del tempo: gli archivolti non portano più le nere cortine di morte, ma si lasciano addobbare dalle ragnatele.

Ritta nel sole, colle man sul fronte a schermo, guardi se un ruscello appaia, se qualche roccia della rea petraia pianga per una sua cerula fonte. Nulla: non trovi nulla, fuor che sassi, polvere, ortiche, calcinacci. E rabbia d’arsura, quasi che rovente sabbia colle contratte fauci respirassi. Dio mio che sete!... Asciugheresti i fiumi. Ma non v’è nube in ciel, ma non v’è filo d’acqua fra pietre.

Intanto parte del tetto crollava con gran fracasso; e parve per pochi minuti che il materiale di tegole e di calcinacci venuto giù attutisse l'incendio. Gi

A poco a poco il cortile si era vuotato. Ora un'improvvisa calura sciroccale umida e greve occupava l'aria. Il sole scottava. In quello spiazzato irregolare, rinserrato da muri grigi, alti e interrotti da linee non simmetriche di finestre e di poggiuoli, la luce pioveva come in un pozzo e vi si raccoglieva pesantemente. A uno de' poggiuoli era seduta una reclusa, incinta, e rammendava un panno bianco che le si distendeva sul ventre rotondo e gonfio. Guardava abbasso, di volta in volta, e poi levava un lembo del panno per passarlo e ripassarlo sulla fronte sudata. Due altre donne, affacciate alla finestra accanto, chiacchieravano, e una fumava una sigaretta e sputava continuamente sotto, su un mucchio di calcinacci. E passavano e ripassavano dietro alle altre finestre altre recluse, e attraversavano corridoi e dormitorii, dai quali usciva un confuso vocio, uno strepito di voci discordi e di risate, un fracasso di porte e di vetrate sbattute. Nella infermeria, i cui quattro poggiuoli stampavano sul bianco muro rivolto a mezzodì il vivace colore de' loro stipiti dipinti di verde, una suora gi

Essi spacciano alle loro pratiche quattro quinti di coke e un quinto di falso coke fabbricato dal babbo della Luisa, e rubano, con un peso perfetto, il quinto sulla differenza. A Parigi questi e simili truffatori sono colti e pagano delle buone multe. A Milano finora nessuno ci ha mai badato, e le stufe a coke milanesi son tutte piene di mattoni e di calcinacci.

Il falso coke è composto di rottami di fabbrica, di vecchi mattoni, di calcinacci e di ciottoli fatti cuocere nella pece e simulanti il coke vero. Per certi venditori di carbone è comodissimo. Fa comparir un quintale di combustibile, ciò che, in sostanza, non è più di ottanta chilogrammi.