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Aggiornato: 4 giugno 2025
Rimanemmo per qualche minuto sbalorditi. Io mi trovavo in una cella di mezzo, tra Romussi e don Davide Albertario. Chiesi era in faccia al direttore del Secolo e io potevo vederlo, attraverso la ferriata, di profilo. L'avvocato Federici era in una delle prime celle della fila a destra e gli altri, compresi due che non conoscevo, erano sparsi nelle celle in fondo.
È avvenuto quello che doveva avvenire. Coi continui arresti non sappiamo più dove mettere gli arrestati. Ieri eravamo 1048. Il numero eccessivo ha obbligato il direttore a ficcarne, parecchi, tre per cella, coi pagliericci in terra. Fortuna che non fa troppo caldo. L'ultimo pesce grosso che registrai fu don Davide Albertario. È alto, dalle forme erculee.
Tra gli intimi di Romussi, vi era il professore Pietro Panzeri, direttore dell'Istituto dei rachitici, che piangeva come un ragazzo. Il vagone cellulare era nuovo o pennelleggiato di fresco. Perdeva un odore di vernice che faceva turare il naso. Don Albertario, grosso come era, non riuscì a mettere il piede sul predellino che aiutato.
Gustavo Chiesi era divenuto il numero 2555, Carlo Romussi il 2556, don Davide Albertario il 2557, Bortolo Federici il 2558, Paolo Valera il 2559, Costantino Lazzari il 2560 e Achille Ghiglione il 2561. La prima volta che si spalancò il nostro cancello e che entrò un sottocapo con due galeotti a fare la distribuzione degli asciugatoi e delle lenzuola, ci fu un po' di confusione.
Abbiamo faticato a trasformare una cella a pagamento per don Davide Albertario, venuto qui il 24. Con un prete non potevamo fare diversamente. Con le guardie occupatissime siamo anzi obbligati a mandarlo al passeggio solo per impedire che qualche mascalzone lo insulti. Si sa, il Cellulare non è un collegio.
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