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improvvisato al Teatro Brunetti di Bologna, per invito del Circolo Universitario Vittorio Emanuele il Giugno 1884 Signore e Signori, Io non so se debba ringraziare più il Circolo universitario il quale mi volle onorare dell’incarico di commemorare Giuseppe Garibaldi, o questo eletto uditorio che non mi attendevo.

Dai suesposti principii scendono queste conseguenze che qui notiamo, cioè: 1. Ove le danze sono in uso e reputansi lecite ovvero cose indifferenti, non sono da proscriversi pubblicamente; è permesso tuttavia predicare contro i peccati che soglionsi in esse commettere, facendolo però con caste parole affine di non offendere menomamente le orecchie pudiche dello uditorio.

È evidente che con queste parole il padre turlupinava il suo uditorio, o incoscientemente s’ingannava nelle sue affermazioni. In fatti chiunque conosca anche superficialmente la storia dei tempi trascorsi, si rende facilmente conto come l’epoca nostra da questo lato abbia fatto sensibili progressi nella via della decenza.

Ma neanche questo è bastato a rabbonirla. Perchè? mi domandava frattanto la contessa Adriana. Perchè recitando il prologo avrete oggi per la prima volta l'idea di trovarvi davanti al gentile uditorio. Finora non avete avuto da recitare che davanti al maestro; chiamiamolo pure così.

Torino, 1896. Per Giuseppe Garibaldi Invitato a commemorare Giuseppe Garibaldi in questo giorno nel quale ogni cuore italiano risente più viva la tristezza d'averlo perduto, non terrò un discorso ampio e ordinato dell'opera e della funzione storica compiuta da lui, poichè nulla o poco oramai ne rimane a dire che non torni superfluo a un uditorio di italiani colti. Parlerò il linguaggio facile e caldo del patriotta, che, invece di dissertare sul passato, lo risuscita, lo rivive e lascia andar tutta l'anima all'onda degli affetti e delle memorie. Spero, così parlando, di consentire alla disposizione d'animo dei miei uditori, ai quali non parr

In una sala d'angolo, dalle pareti coperte di quadri, vi era un piccolo crocchio che circondava il conte di Choisy, uno dei signori più alla moda, il quale stava raccontando qualcosa che pareva interessasse moltissimo il suo piccolo uditorio. Egli aveva una gran riputazione d'uomo di spirito, ma non troppo meritata.

Nel piacere d'aver un così numeroso uditorio, nella voglia di far presto, non sapeva nemmen più quel che si leggesse: ma qualcheduno rise, e lui si corresse subito arrossendo: «Vita dorata.» «Questa sera saranno celebrate le nozze tra la signorina Rosalia Ascenti dei baroni di Roccabruna e il cavaliere Mario Furlani di Traforello....»

Don Gabriele ruminava ancora questo progetto quando, discendendo di diligenza all'angolo della strada S. Giacomo e del Largo del Castello, si trovò faccia a faccia col teatrino del suo allievo che spippolava ad un magro uditorio non so che scipida cantafera. Don Gabriele corse ad udirlo. Fremè, la bile gli arrossò il naso ed i bernoccoli. Assistè all'anelito estremo dell'arte e disperò.

Passa senza contrasto; un momentaneo bisbiglio e silenzio. Tale dei tali. Vivi applausi; il popolo è ben disposto, l'affare va bene. Tale dei tali. Uno scoppio d'urli e di fischi, un agitar di mani, un pestar di piedi, un rimescolamento, un fracasso d'inferno si leva e si prolunga per cinque minuti da ogni parte dell'affollato uditorio.

Ma che lui! mi gridò egli stizzito. Ti parlavo di lei. Ah , è vero; rimediai alla meglio. È stato un lapsus linguae. Torniamo alla signorina Wilson, che mi aveva lasciato dire a mia posta, e poi soggiunse, con accento malinconico: Il burattinaio ha fatto capolino tre volte dalla sua tenda, cercando con gli occhi in giro nel suo uditorio.