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"Credo che l'intenderei meglio," disse Alice con molta garbatezza, "se me la scriveste, ma non posso seguirvi con la mente quando la dite." "Questo è nulla rimpetto a quel che potrei dire, se ne avessi voglia," soggiunse la Duchessa, contenta come una pasqua. "Non v'incomodate a dirne di più lunghe di quella che avete recitata or ora," disse Alice. "Che incomodo!" rispose la Duchessa.

"Non l'avete recitata bene," disse il Bruco. "Temo di no," rispose timidamente Alice, "certo alcune parole sono scambiate." "Male dal principio alla fine," disse il Bruco con accento risoluto, e successe un silenzio per qualche minuto. Il Bruco fu il primo a parlare. "Di che statura vorreste essere?" domandò.

Ma rise, perchè bisognava ridere; e quella risata fu l'orazione funebre recitata sulla tomba.... di una cingallegra smarrita. Ah! la gran caccia! esclamò egli poi, sospirando. Ne parlate facilmente, voi, bella signora. La gran caccia è molto faticosa, e più ancora difficile. Essa, ad ogni modo, richiede cacciatori più esperti. Non mi parlate degli esperti! replicò la marchesa. Io non li amo.

L'Arcivescovo si reca in mano l'aspersorio, e senza scendere dalla mula, con assai buone orazioni, li benedisse: poi, recitata in fretta un brano di perorazione nel quale diceva Manfredi figlio di Acab, fulminato dal sacratissimo anatema, razza di vipere, ariano arnaldista, priscillanista, ed ateo, tutto insieme, e chiamando allo incontro i Francesi veri figli d'Israello, e discendenti in linea retta dalla tribù di Giuda, intuonava l'Exurge Domine et defendem causam tuam ecc., e gli avviava a sgozzarsi allegramente su la pianura.

Le sembrava ancora la più bella poesia del mondo, l'aveva recitata un giorno al dottorone, sperando di commoverlo, ma egli aveva risposto: Non creda ai poeti; essi cantano d'amore nello stesso modo che i becchini seppelliscono i morti, per professione. Nelle pagine della strenna c'era un foglietto, staccato, come si vedeva, da una lunga lettera.

Ai piedi della scalea della chiesa, intorno a Guidello, v'erano quattro cavalieri cogli scudieri. Ma nessuno parlò. Per cui l'araldo: Messeri, allora dichiaro. Stette un poco, poi si rivolse a un chierico che gli era accanto, come magister librarius, e disse: Recitate. Fu recitata l'avemaria, e tutti risposero ad alta voce.

Infatti recitata, come tutti sanno, al Vaticano fra un pubblico di cardinali e di dame vi ottenne le più festose accoglienze. Ma tutto ciò non è critica. Il Macchiavelli s'era gi

Goldoni era sempre gustato. Il repertorio di Scribe e d'altri autori francesi godeva pieno favore. Si tentarono per la prima volta le tragedie di Shakespeare e di Schiller; l'Otello recitato dal Modena, fu al teatro Re male accolto; assai bene il Wallenstein. Una tragedia di Manzoni, recitata parimenti dal Modena, ottenne fredda accoglienza. Si leggevano avidamente i versi milanesi del Raiberti.

Infatti la scena di amore, che era anche la culminante, cioè l'ultima, fa recitata a meraviglia: Carmela vi mise dell'impegno, parve quasi che sapesse la parte; i suoi occhi ingranditi dal bistro brillavano, la voce rauca aveva quasi delle intonazioni d'intelligenza.

La commediola andava innanzi, concertata a meraviglia, recitata a meraviglia. Il pubblico composto del cameriere e dell'oste, in lontananza, in un corridoio, ci cascava. Ma per cinque minuti gli attori si occuparono delle costolette, con molta attenzione. Signora Lucia, noi non dovremmo mangiare. O perchè? Capite, col cuore divorato dai rimorsi...