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Quinci Vertú, quindi Fortuna alloggia, i' ti l'ho detto: va', ch'ambo le porte ti mostro aperte. E detto ciò, s'appoggia sul petto il viso di Vertute e sorte fra le colonne. Ed io ne stava in foggia di chi non sa de le dua porte apporte quale si prenda, s'una prender deve; e mentre dubbia, gran duolo riceve. «Quid autem est libertas nisi potestas vivendi ut velis?». QUINTIL.

È il Manzoni stesso che ce lo fa sapere in una sua lelterina a Cesare Cantù, il quale, valendosi, com'è noto, in gran parte dei materiali di studio dei Promessi Sposi che avevano servito al Manzoni, compose il suo Commento storico ai Promess Sposi: "L'Innominato (scriveva il Manzoni) è certamente Bernardino Visconti. Per l'aequa potestas quidlibet audendi ho trasportato il suo castello nella Valsássina. La duchessa Visconti si lamenta che le ho messo in casa un gran birbante, ma poi un gran santo." Nella Valsássina aveva avuto signorìa, nel tempo in cui è collocata l'azione del romanzo, la casa Manzoni. L'aver fatto l'Innominato il signore della Valsássina parmi un altro segno evidente che il Manzoni voleva, in qualche modo, rappresentar stesso nell'Innominato, per l'aequa potestas quidlibet audendi. Vogliono che il Manzoni un giorno a chi lo ringraziava del bene ch'egli avea fatto co' suoi scritti, rispondesse; "Senta, se c'è un nome che non meriti autorit

Quindi, non solo furono da costoro rivendicate all'imperio le regalie, e tolto alle cittá l'uso delle guerre cittadine, ma fu inventato, e stabilito poi in ogni cittá dove poté l'imperatore, un magistrato suo, che dovea, rimanendo i consoli, rappresentare la potenza imperiale, e che appunto fu chiamato «potestas», «podestá». Quindi condannavasi e smuravasi Piacenza, a brutta richiesta della vicina Cremona; e rivendicavansi all'imperio Sardegna e Corsica, tenute da' genovesi e pisani.