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Una domenica di novembre del 1883 mi recai a New-Haven a trovare un amico. Da New-York si va a New-Haven in un paio d'ore, attraversando, fra gli altri paesi, Bridgeport, la patria di Barnum, dove il famoso showman teneva i suoi quartieri d'inverno pieni di cavalli e di bestie feroci.

La domestica, una fanciullona mezzo scimunita che i due vecchi avevano raccolto, non capiva nulla di nulla, fuor che i suoi padroni erano usciti uno dopo l'altro. Mi sedetti innanzi al caminetto, attizzai il fuoco ed aspettai. Era una magnifica giornata d'inverno; il sole dardeggiava sui vetri, ed i tizzoni scoppiettavano allegri. I miei pensieri erano giocondi.

Nella stagione fredda si indossava da tutti un cappotto di panno bianco, della stoffa di quello usato per il bavero della velada, guernito di bottoni pure di metallo dorato e foderato assai spesso di una buona pelliccia. I calzoni d'inverno erano di panno blò e nella stagione calda di rigadino bianco forte.

Se fosse stato di primavera, il nostro Ariberti avrebbe strappato un congedo e sarebbe andato a veder sbocciare le pratelline sui colli delle sue Langhe; unico spettacolo che potesse consolare il suo spirito infermo e riconciliarlo col mondo. Ma era d'inverno, e non seppe far altro che mettere la sua noia in abito nero e cravatta bianca, per portarla ad un ballo di Corte.

Una lagrima cadde sulla sua mano. E' s'inginocchiò e cercò nella sua memoria una preghiera per benedirla. Poi uscì. Accese il fuoco, l'ultimo che doveva riscaldare quel focolaio che li aveva visti piangere, soffrire, balbettare le loro prime parole, che aveva riunito la povera famiglia per tante lunghe notti d'inverno, cui i due operai avevan passate lavorando. Il camino bruciava male.

Qualche cosa aveva ferito anche lei senza che sentisse bene dove, ma le venivano meno le forze, mentre una luce gelata, quasi d'inverno, le cresceva dentro; e si ricordò di avere un'altra volta atteso così all'uscio della mamma ammalata che il medico ne uscisse per pronunciare la sentenza di morte. Anche allora aveva tremato, poi rivedendo la mamma non le era sembrata più la stessa.

Anche la terra era ammalata di dolore: d'inverno soffriva il freddo come i poveri, aveva tutte le loro malattie e tutta la loro fame. Adesso non produceva più. La grandine e il fulmine non cadevano sopra di essa che dal cielo. Dio lontano, in alto, superbo ed insensibile, non domandava che incensi, non esigeva che ringraziamenti.

Era quasi l'intero giorno in istrada, sotto la cupola di nebbia che incombeva d'inverno perennemente sulla citt

Allora le lagrime cominciarono a caderle per le guance, e un singhiozzo lungo la scosse per tutti i nervi. Qualche cosa le si scioglieva dentro, liberando finalmente la sua anima dal peso ineffabile del silenzio. Ah! come era sola adesso che Tina non le stava più accanto riscaldandola col suo corpo giovane, che d'inverno le si stringeva sempre più presso, talvolta abbracciandola anche nel sogno!

L'ho incontrato tra le dodici e le dodici e mezzo, in via di S. Vincenzino, tutto imbacuccato in un soprabito d'inverno, in mutande. Eravamo ai tanti d'agosto e c'era una splendida luna. Dove vai, a quest'ora, da queste parti? gli domando. Sei tu? risponde A mia moglie è venuta una voglia. Vuol mangiare una carota. Dice che non può dormire, se non mangia una carota.