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Qual vien tra' gioghi d'Apennin canuti Per molta neve il cacciator gioioso, S'alfin ritrova de' cinghiali irsuti L'aspro covil tra dure selve ascoso, Tal gode il Turco, e de gli strali acuti Un tinto di licor più venenoso, Pon su la corda, indi traea dal core Fervide voci e ripregava amore: XLIX
Ei talor flagellando in tempi duri Di severo Signor prende sembianza, Perchè del nostro errar fatti sicuri Apprendiamo invocar la sua possanza. Or tu, reina, sollevar procuri Con arme e con tesor nostra speranza; Caduche forze; e per le vie del mondo Vuoi fornir tuoi disegni; ed io rispondo: XLIX
Al fin le porge il ferro; ed ella franca Pur col bel guardo a rimirar sereno Strinselo ne la destra, e con la manca I ricchi manti si squarciò dal seno; Mostrò quel petto, che se l'alpe imbianca Candida neve in paragon vien meno; Indi le belle ciglia al ciel converse, E poi le labbra a questi detti aperse: XLIX
E come pianta che suggendo piglia novo licor da l'umido terreno manda fuor frutti e fior, benchè s'attempi: tal'io potrei, sì nuovo mi bisbiglia pensier nel cor di non venir mai meno, dar forse ancor di me non bassi esempi. XLIX. A Nicolò Martelli
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