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171 Veduto che nol piega e che nol muove, Cloridan gli risponde: E verrò anch'io, anch'io vuo' pormi a lodevol pruove, anch'io famosa morte amo e disio. Qual cosa sar

Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine producerebbe li suoi effetti, che non sarebbero arti, ma ruine; e ciò esser non può, se li ’ntelletti che muovon queste stelle non son manchi, e manco il primo, che non li ha perfetti. Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?». E io: «Non gi

PANDOLFO. Ed io prima di tutti. E per maggior sicurezza della mia voluntá, sapendo quanto gli animi giovanili siano pronti e leggieri a promettere e poi a pentirsi, vuo' che le promesse si confermino, ché non abbiamo a rampognar poi e a litigare: Non la intendeva cosí, non mi pensava cosí. ARTEMISIA. Oh come dice bene! LELIO. Anzi benissimo! PANDOLFO. Io voglio essere il primo a giurare.

FANNIO. O Lidio, ecco in verso noi la serva di Fulvia. Nota che ha nome Samia. Rispondeli dolcemente. LIDIO femina. Cosí pensavo. SAMIA. Sei tu piú turbato? LIDIO femina. No, Dio, no. Samia mia, perdonami, ché in altro caso io ero occupato ed ero quasi fuor di me, tal ch'io non so quel che mi ti dissi. Ma dimmi: che è di Fulvia mia? SAMIA. Vuo' lo sapere? LIDIO femina. Non per altro te ne ricerco.

Come chiusi quegli occhi in sonno eterno E mira il volto impallidito e scuro, Freme Alete così, ch'orrido verno È su per l'onde a rimirar men duro. Presta a quell'empio, o Regnator superno, Presta i fulmini tuoi; non fia sicuro: Chè de l'estinta gioventù diletta, A mal grado di te, vuò trar vendetta.