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Aggiornato: 3 giugno 2025
Stiamo ora per raccontarvi una cosa strana, e quasi incredibile, una cosa che i lettori non indovinerebbero, se pure la dessimo loro alle mille. Aloise di Montalto saliva le scale del palazzo Vivaldi, in compagnia di Enrico Pietrasanta.
La lettera era lunga, assai lunga, tutta piacevolezze, tutta particolari intorno alle dame, ai cavalieri, alle abbigliature, ai casi svariati, ai cento nonnulla, graziosi o ridicoli, di quella splendida festa che aveva chiusa nel palazzo Vivaldi la stagione invernale.
In casa, tuttavia, quell'atto da medio evo non era stato compiuto senza un po' di contrasto. La marchesa chiedendo grazia pel Menico, era giunta perfino a rammentare che la terra di Quinto era patrimonio dei Vivaldi, da lei portato al marito. Ma egli tenne fermo; rispose alla signora che un esempio era necessario, che la bordaglia bisognava farla stare a segno, e cento altre cose di quella fatta, dette con aria di molta deferenza alle preghiere di lei, ma che pure mostravano com'egli non volesse lasciarsi smuovere. Quando poi ne ebbe abbastanza, fece restituire il Menico in libert
Ricordate che quella era, a detta del giardiniere, la Corte di Amore, così chiamata da gran tempo, e dove tutte le Vivaldi, madre, nonna e bisnonna di Ginevra, avevano sempre avuto per costume di recarsi a passare le ore più calde della giornata?
L'amor suo, seguendo l'esempio della natura, aveva i suoi periodi di sopore, e soltanto la presenza dei Torre Vivaldi a Genova lo faceva riavere, ma inasprendo sempre maggiormente la piaga. Intanto gli anni correvano. Aloise di Montalto viveva solitario, immerso ne' suoi studi, alternando le Pandette con la musica, l'economia politica colle lettere.
Il caso, come dicemmo, o, per dire più veramente (che oramai non è più mestieri di accorgimenti da narratore), la mano del Gallegos, aveva tratto Aloise dinanzi a quella donna, così amata ad un tempo e temuta. Ignaro, aveva veduto nelle cortesie del Torre Vivaldi il volentem ducit nolentem trahit della fatalit
Bonaventura Gallegos, quel vecchio Spagnuolo, gesuita sfratato, che sta nel palazzo Vivaldi. Ah! il capo dei neri! Lo avrei dovuto indovinare; disse il Giuliani, scambiando un'occhiata coll'amico Marcello. Questi, come il dio Termine, anzi come la immagine della giustizia inflessibile, stava lì presso al reo, ritto come un piuolo, colle braccia incrociate sul petto.
Scampanellò da capo, tambussò l'uscio, fece un diavoleto; ma nel suo quartierino non udì segno di vita. Uno strepito d'uscio che si apriva, un passo affrettato, si udì poco stante nelle scale. Era un servitore dei Torre Vivaldi, che a quella tempesta di suoni s'era scosso dalla panca su cui sonnecchiava, e veniva a vedere che diavol fosse che metteva a rumore la casa.
E poi, casa Vivaldi si serve da me; e non fo per dire, è molto contenta della mia bottega. Orbene, una ragione di più per accettare il giovine raccomandato dal reverendo Bonaventura. Vedete, compare; que' signori la sanno più lunga di noi, e se vi dicono che bisogna levarsi di bottega quell'arnesaccio, credete pure che ci avranno delle buone ragioni. Dite benissimo. Fate venire questo giovine.
Delle due feste da ballo di casa Vivaldi si usava parlare per tutta Genova molte settimane innanzi. Erano solennit
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