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Un altro giovane seminarista triestino, un piccolo chiericuzzo dagli occhi strambi, dalla faccia lentigginosa e che i parenti volevano far prete per forza, si era legato di grande intrinsichezza col piccolo montanarino tutti italiani, per Dio! e gli aveva confidato che voleva scappare a Venezia e che voleva fare il bersagliere, altro che il prete! Pierino spalancava gli occhi maravigliando.

Spesso il cantor d'Ofelia, Col labbro d'uno stolto, Strambi concetti mormora Ed è di nebbie avvolto, Ma sempre, come folgore Che irradia la tempesta, Risplende tra le nebbie L'olimpica sua testa.... Evvia!.... se qualche Bécero, Nelle invalide carte, Pallia coll'artificio La mancanza dell'arte; Se con grottesche immagini Pochi grulli impotenti Cercano un vieto elogio A mal composte menti;

Egli aveva gli occhi strambi e fisi al suolo, i capelli bianchi, rari ed irti, la barba scomposta come la tunica cenerina. Rossa stola gli cingeva la fronte, pallidissimo aveva il colore. Egli arriva innanzi al papa dei becchi, sta un momento a pensare, poi batte del piede la terra, e sclama: Est necesse virga Iessæ!

Il seminarista, il chierichetto dagli occhi strambi e dalla faccia lentigginosa pareva si godesse a stuzzicarlo, ad accenderlo sempre di più in quei pensieri, in quei misteri, e gli ripeteva di nascosto anche i versi del Berchet: "Maledetta chi d'italo amplesso Il tedesco soldato beò!"

Tre suonatori tenevano intorno a un altro cerchio più grande di tutti gli altri. Le figure, i movimenti e la musica di costoro mi fecero una singolare impressione. Erano tutti e tre strambi, di statura altissima e curvi dai piedi alla testa come le figurine grottesche che rappresentano la ci maiuscola nei titoli di certi giornali illustrati. Uno sonava il piffero, l'altro un tamburello a sonagli, il terzo uno strumento stravagante, una specie di clarinetto, mi parve, combinato, non so come, con due corni da caccia divergenti, che mandavano un suono non mai sentito. Questi tre sonatori, ravvolti in pochi cenci, stavano stretti l'un all'altro, di fianco, come se fossero legati, e sonando continuamente e disperatamente il medesimo motivo, l'unico forse che sonavano da cinquant'anni, facevano il giro dell'arena. Io non so dire come si movessero. Era un non so che tra l'andatura e il ballo, certi scatti come della gallina che becca, certi stringimenti di spalle, fatti da tutti e tre con una simultaneit